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Reading: 25 Aprile. La memoria come dovere civile. Di Marinella Andaloro
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25 Aprile. La memoria come dovere civile. Di Marinella Andaloro

Last updated: 24/04/2025 13:03
By Redazione 322 Views 9 Min Read
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È doveroso celebrarlo, il 25 Aprile.
Non per ossequio alla consuetudine, bensì quale atto dovuto alla salvaguardia della memoria collettiva, che sola può erigersi a baluardo contro le derive dell’oblio.
Giacché il ricordo, se autentico, non si esaurisce nella commemorazione, ma si tramuta in responsabilità civile, etica e storica.

Sandro Pertini, con adamantina fermezza, ammoniva:
«Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale.»

Viene allora da chiedersi: quanto, nel presente assetto della realtà istituzionale e sociale, siamo rimasti fedeli a quei principi fondanti? E quanto, al contrario, abbiamo smarrito la rotta tracciata da quell’“arte regia” evocata da Platone, espressione di sapienza e misura, che dovrebbe ispirare ogni forma di governo autenticamente democratico?

Siamo distanti. Drammaticamente.
Lo siamo ogniqualvolta, persino nelle più circoscritte realtà territoriali, si reiterano soprusi, si tollerano discriminazioni, si perpetra l’umiliazione dei più vulnerabili. Quando si relega nell’oblio il dissenso e si eleva la ritorsione a prassi istituzionale.
Qui, la grande assente è la ragione.

Da un versante, l’apoteosi della parvenza spacciata per sostanza; dall’altro, l’arroccamento in retaggi grotteschi, nutriti dall’ego ipertrofico di chi si erge a salvatore, trovando appagamento nella demolizione altrui.
Con l’aggravante di infliggere violenza proprio su chi avrebbe meritato tutela e considerazione.
Chi ha manifestato l’ardire – l’encomiabile dignità e l’onore – di invocare tutela per un bene afferente alla collettività.
Chi ha osato opporre resistenza alla spirale del silenzio.
Qui, la grande assente è la solidarietà.

Quando l’etica abdica e la responsabilità di dissolve, l’arbitrio prende il sopravvento.
Assurge allora a criterio regolatore una norma non codificata eppure universalmente applicata: la legge del più forte.
Alimentata da connivenze tacite, da ignavia elevata a prassi, da un desolante smarrimento deontologico.
Laddove si adultera la realtà e si infrange la dignità della persona, si consumano atti di disumanità tanto più abietti quanto più subdolamente esercitati.
Qui, la grande assente è l’umanità.

Viviamo in un’epoca in cui la barbarie è stata normalizzata, in cui l’abuso si ammanta di legittimità.
Si manipola il lessico, si sovvertono le narrazioni, si forgia un codice della prevaricazione camuffato da diritto.
Eppure, ciascun essere umano è depositario di pari dignità e responsabilità, senza distinzione alcuna, né discriminazione.
Qui, la grande assente è l’imparzialità.

Ma vi è dell’altro.
Questa brutalità, aliena ad ogni forma di civile consorzio, calpesta la dignità delle persone perbene, generando pregiudizi esistenziali di incommensurabile portata.
Si infrange il patto – già vulnerabile – tra cittadino e istituzioni.
Un patto che dovrebbe radicarsi nella fiducia e nella giustizia imparziale.
Qui, la grande assente è la coscienza.

Ogni essere umano ha diritto –e legittima aspettativa– di ricevere il bene, non il male, dalle istituzioni.
Queste, in quanto garanti del patto democratico, dovrebbero discernere con equità, intervenire con tempestività, garantire inviolabile protezione.
E, tuttavia, con inquietante frequenza, le si scopre inerti, indifferenti, o persino colluse con interessi opachi.
Qui, la grande assente è la tutela.

E non si invochi l’alibi dell’eccezione. Non più.
Non si tratta di episodi isolati.
Assistiamo a una sistematicità inquietante, a una prassi deviata che ha smesso di essere incidente ed è divenuta norma.
Un sistema corrotto non solo per azione, ma anche —e soprattutto— per omissione.
Chi non ne percepisce la gravità, o dissimula tale percezione, ne diviene inevitabilmente complice.

Perché qui non è in gioco un singolo atto di giustizia, ma la preservazione stessa dei valori costituzionali.
È in discussione la credibilità della democrazia. Il senso profondo della nostra Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista, testamento di migliaia di giovani immolati sull’altare della libertà.
Qui, la grande assente è la pari dignità sociale, solennemente consacrata dalla nostra Carta Fondamentale.

Se la miseria morale avesse un nome, com’è noto, porterebbe il vostro.
Voi, che disponete delle esistenze altrui come di pedine su una scacchiera.
Voi, che interpretate il ruolo del devoto, del salvatore, del virtuoso, ma siete, nella sostanza più profonda, meri amministratori dell’ingiustizia.

Non perdurerete nell’inganno.
Le maschere decadono, inesorabilmente.
E la verità, ancorché soffocata, trova il proprio corso. Ineluttabilmente.

Il 25 Aprile non vi appartiene.
È la celebrazione di chi resiste.
Di chi non si sottomette alla spirale del silenzio.
Di chi non si piega dinanzi all’ingiustizia.
Resistiamo anche per voi. Poiché, forse, un giorno, persino voi comprenderete quanto sia indegna un’esistenza fondata sull’oppressione altrui.

Viviamo un’epoca in cui la corruzione ha subito una metamorfosi profonda.
Non più clamorose tangenti, ma silenzi, favori, connivenze.
Non più deviazione occasionale, ma metodologia consolidata.
Non più anomalia, ma sistema.

È una rete perversa in cui si intrecciano esponenti politici, imprenditori, funzionari, soggetti dediti ad attività criminose.
Sono tutti indifferentemente mammasantissima ancora senza condanna, ma già intrinsecamente rei.
Ancora invisibili al vaglio della legge, ma già maestri nel contaminare tutto ciò che toccano.

Eppure, su tutto questo, regna un silenzio assordante.
Qui, la grande assente è la ribellione.
Quella ribellione sana, indignata, necessaria. Quella che dovrebbe sorgere spontanea dinanzi alla “spuzza” della corruzione, per richiamare l’espressione incisiva di Papa Francesco. Parole cristalline, intrepide, spesso citate, raramente metabolizzate.
Poiché molti lo hanno omaggiato, acclamato, ma non ne hanno compreso – o deliberatamente eluso – l’insegnamento più scomodo.

Voi, che oggi inscenate cordoglio di circostanza, siete gli stessi che hanno distolto lo sguardo mentre il Pontefice denunciava la degenerazione del potere.
Voi, maligni architetti dell’inganno,
maestri della doppiezza, celati dietro le vesti istituzionali quali sepolcri imbiancati.

È tempo di squarciare il velo dell’ipocrisia.
Di restituire senso alle parole.
Di smascherare i ciarlatani che simulano dedizione alle istituzioni ma perseguono soltanto tornaconti personali.

Papa Francesco non ha mai concesso indulgenze.
Ha denunciato con lucidità il potere tracotante, l’ipocrisia ammantata di fede, l’abisso tra parole e opere.
«Meglio atei che cristiani ipocriti», ha affermato senza esitazioni.
Ma voi, ipocriti per indole, non avete mai prestato ascolto.

Se la miseria morale avesse un nome, porterebbe il vostro.
Se la giustizia avesse voce, oggi sussurrerebbe: chi non si indigna è complice. Chi tace dinanzi al male, lo legittima. E chi ne trae vantaggio non merita misericordia, ma disvelamento.

Resistere, oggi, significa anche questo: rifiutare la complicità del silenzio.
Non temere di proclamare verità scomode.

Poiché il 25 Aprile, ogni anno, ci rivolge un’unica istanza:
essere degni della libertà che altri, prima di noi, hanno pagato con il supremo sacrificio.

Il 25 aprile non è solo memoria: è scelta quotidiana. Una scelta che si rinnova ogni volta che si difende la dignità dell’uomo, ogni volta che si oppone il diritto alla sopraffazione.
Allora, come scriveva Piero Calamandrei, “l’uomo tornò ad essere una cosa”, umiliato e violato nel corpo e nello spirito. Oggi, ogni volta che si calpesta la dignità, che si tace davanti all’ingiustizia, quell’abisso ritorna, insidioso.
“L’antifascismo significò la Resistenza della persona umana che si rifiutava di diventare cosa.”

Per questo, il 25 Aprile non è mera commemorazione. È un monito perenne.
A non abbassare la guardia.
A non accettare l’ingiustizia quale consuetudine tollerabile.
A resistere. Ora e sempre.

Ripartiamo dalla coscienza critica, dalla verità, dalla libertà vissuta come responsabilità.
Poiché solo chi custodisce la memoria è in grado di costruire un futuro fondato sulla giustizia.

E, da questo mio umile osservatorio, un’unica esortazione: Resistete, non cedete. Mai.
Reagite all’ingiustizia.
E, laddove ne abbiate facoltà, reinventate paradigmi. Create modelli etici, capaci di generare impatto concreto.
Giacché se ciascuno compisse con rettitudine il proprio dovere civico, pensando al futuro delle nuove generazioni, potremmo vivere tutti in un mondo migliore.

E allora sì, potremmo affermare di aver onorato la memoria del 25 Aprile.
Risvegliando, finalmente, le coscienze assopite.

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