Walter Ricciardi, docente di Igiene e Sanità Pubblica all’Università Cattolica, il primo allarme lo lanciò nel 2015. Allora, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, scrisse un volume: “La tempesta perfetta – Il possibile naufragio del Servizio Sanitario nazionale: come evitarlo”.
Non l’hanno ascoltata? “Capita sempre così”, ammette senza tuttavia assumere la posa di chi si arrende all’idea che la salute possa diventare un diritto negoziabile.
“Il tema è che di fronte a diritti sanciti costituzionalmente e che sembravano acquisiti per sempre nessuno prese sul serio quello che i numeri ci dicevano in modo chiaro ormai dieci anni fa. Non lo ha fatto la politica, e non tutti i cittadini hanno pensato che una delle più straordinarie forme di tutela offerte dallo Stato potesse peggiorare così. Però alla fine il conto arriva, sempre. E senza una riforma strutturale sarà ogni anno più salato”
Nel 2015 i pazienti in assenza di risposte scivolavano verso le visite a pagamento. Ora chi ha il portafoglio capiente trova liste d’attesa anche rivolgendosi al privato. Siamo alla vigilia di un collasso generalizzato della nostra sanità?
“Più che al collasso siamo alla vigilia di una sanità con doppio binario: un servizio pubblico per i poveri e un servizio privato che può essere offerto a chi ha i soldi o una buona assicurazione. E siccome ci stiamo arrivando senza programmarlo, il servizio pubblico per i poveri sarà un servizio mediocre”.
Questa situazione è figlia della carenza di risorse o c’è anche altro?
“Il balletto sui decimali è inutile e stucchevole: l’Italia tra i Paesi del G7 è quello che finanzia meno la sanità, e ora è anche sotto la media OCSE. E allora dobbiamo fare i conti: o è sottofinanziato il sistema oppure devono dirci che non siamo più un grande Paese, che certi servizi non possiamo permetterceli. Il tema delle risorse è fondamentale, ma non è il solo. C’è una perdurante disattenzione verso il nostro personale medico. Oggi i camici bianchi sono in trincea ma dal quartier generale, dal palazzo, non arrivano mezzi, strumenti, strategia, insomma non ci sono le condizioni ottimali per operare”.
La migrazione sanitaria continua a essere una piaga. Come è possibile rimarginarla?
“Perché accade? Bisogna essere onesti nel rispondere a questa domanda. Ci sono Regioni, purtroppo sempre meno, dove l’accesso alle prestazioni avviene in ospedali che funzionano, le tecnologie sono accettabili così come l’accesso ai farmaci e ci sono Regioni dove la sanità funziona peggio, o non funziona affatto. Io non credo la colpa sia dei governatori delle Regioni, anzi ci sono tentativi ammirevoli di affrontare la questione. C’è un problema di norme di riferimento, dai piani di rientro alla possibilità di ingaggiare i medici, che non sono più sostenibili. Occorre una nuova spinta che dal governo centrale arrivi su tutto il territorio. O così, o chi è indietro resterà sempre più indietro”.
Nonostante tutto abbiamo ancora tante eccellenze sanitarie e medici che molti Paesi ci invidiano. Cosa occorre fare per salvaguardare questo patrimonio prima che si disperda?
“Facile: offrire condizioni di lavoro adeguate, non solo economiche. Il personale sanitario pretende che il merito sia premiato, con percorsi di carriera per chi dimostra capacità e abnegazione, e che il posto di lavoro sia sicuro”.
Le liste di attesa restano la prima causa di iniquità d’accesso alle cure. Il governo punta a pagare i medici e il privato affinché si impegnino a smaltire gli arretrati. Basterà?
“Certo che non basterà se ciò non accade all’interno di una strategia che inauguri una nuova stagione introducendo maggiori risorse in un nuovo modello organizzativo. Altrimenti perdiamo solo altri soldi e altro tempo”.
Dove le liste di attesa sono troppo lunghe e non accennano a diminuire non sarebbe giusto sospendere il doppio lavoro dei medici?
“Sarebbe l’ennesimo errore. Si creerebbe altro disagio e malcontento. Oggi il medico è un professionista che trova porte aperte nel privato e all’estero. Il nostro sistema deve essere competitivo rispetto alle sirene, altrimenti assisteremo solo a una più rapida fuga dal pubblico”.
Le Case di comunità rischiano di rimanere scatole vuote senza medici di famiglia. Le Regioni vorrebbero farceli lavorare portandoli alla dipendenza. Si può fare?
“Nel medio periodo forse si, ma oggi devi gestire garantendo una presenza con gli strumenti che hai. Quindi incentivare, in attesa di un nuovo patto con le nuove generazioni di medici”.
Che segnale manda la decisione del governo di cancellare le multe ai no vax?
“Un segnale terribile, in termini scientifici ma anche etici. Hanno permesso di farla franca a persone che hanno messo a rischio le vite proprie e quello dei loro concittadini. Un precedente terribile che speriamo mai debba mettersi a confronto con una nuova pandemia”.
Dica due cose che farebbe subito se fosse alla guida del ministero della Salute.
“Già fatto: avviare un processo di riforma del nostro servizio, ma una riforma vera, che guardi ai prossimi vent’anni. Con maggiori risorse finanziarie e un nuovo rapporto tra Stato centrale e Regioni perché in gioco c’è la vita del cittadino italiano”.
Da La Stampa del 16/12/2024
