Sarà stato un “equivoco” il fatto che il governo oggi fosse pronto a mandare a riferire alla Camera il ministro per i Rapporti per il Parlamento, Luca Ciriani, come lo definisce lui stesso, buttato nella mischia in una situazione altamente a rischio.
Di certo, l’esecutivo ha cancellato le informative previste per ieri dei ministri della Giustizia, Carlo Nordio, e dell’Interno, Matteo Piantedosi. Risultato? I lavori di aula della Camera e del Senato sono fermi fino a martedì prossimo: perché fin dalla mattina i capigruppo dell’opposizione sia di Montecitorio sia di Palazzo Madama chiedono rispettivamente a Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa che l’esecutivo riferisca sulla liberazione di Almasri.
Di fronte all’indisponibilità contemporaneamente alla opposizioni abbandonano l’Aula fino a martedì: “Il governo deve assumersi la responsabilità di quello che ha fatto.
Pensa che per gestire le politiche migratorie sia necessario scendere a patti con il regime libico?
Lo dica in aula”, tuona il capogruppo dem, Francesco Boccia, al Senato.
Nessun lavoro potrà riprendere prima che il governo informi il Parlamento, come poi ribadiscono le opposizioni durante le capigruppo.
Riavvolgendo il nastro, il cortocircuito del governo diventa sempre più evidente.
Martedì sera, dopo la notizia dell’indagine della Procura, c’è un primo vertice a Palazzo Chigi.
Meloni è convinta che qualcuno debba andare a riferire: “Lo abbiamo sempre chiesto noi quando eravamo all’opposizione ”.
Ma qui si verifica un primo scontro: il ministro dell’Interno non vuole, neanche Nordio è convinto.
E poi i due reciprocamente non si fidano. Motivo ufficiale: da indagati qualsiasi argomentazione potrebbe essere usata contro di loro in giudizio.
Un secondo vertice si tiene a Palazzo Chigi ieri mattina, con un altro scontro. Il vicepremier Antonio Tajani alza la voce: “Qualcuno deve andare in aula, non possiamo dare l’impressione di stare muti”.
Per dirla con Matteo Richetti, capogruppo di Azione: “Che ci voglia una settimana è indicativo: non possono dire come sono andate le cose”.
Per l’ennesima volta viene rimandato anche il voto della Consulta, previsto per oggi: il Parlamento è fermo, ma sarebbe stato impensabile che maggioranza e opposizione votassero insieme.
Intanto il Guardasigilli va al Copasir, per un’audizione già prevista: parla di sicurezza delle banche dati.
Niente sul caso del libico scarcerato. Altrimenti, il rischio sarebbe stato che – come accaduto più volte negli ultimi mesi – il governo si potesse rifugiare nel fatto di aver già parlato in un organismo dove tutto è secretato.
Nonostante i litigi nella maggioranza, resta la volontà dell ’esecutivo di andare avanti con lo scontro coi giudici.
Oltre alla premier, anche la sorella Arianna Meloni lo ribadisce.
Mentre entra di fretta a via della Scrofa , si toglie il casco e al Fatto dice: “Gli italiani sono con noi e noi andiamo avanti finché c’è il popolo a sostenerci.
Nulla può fermarci o intimidirci, l’Italia ha alzato la testa ed è tornata ad essere una nazione orgogliosa grazie al governo Meloni”.
Dal Quirinale, invece, si osserva lo scontro con le toghe con una certa preoccupazione.
Intanto, alla Camera, Avs organizza una conferenza stampa per dare la parola a David Yambio, Lam Magok e Mahamat Daou, rifugiati , vittime delle torture di Almasri.
Mostrano le foto, chiedono come sia possibile che la Meloni “una madre e una cristiana” possa aver liberato “una persona che tortura e uccide anche bambini tutti i giorni”.
Poi al governo consegnano una lettera, in cui chiedono, tra le altre cose, la cessazione immediata di tutti gli accordi tra Italia e Libia.
Ad assistere ci sono Elly Schlein e Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Riccardo Magi, Maria Elena Boschi e Vittoria Baldino.
Tra i parlamentari dem Matteo Orfini e Laura Boldrini. “L’informativa l’hanno fatta loro”, chiosano solo i leader alla fine.
Da ilFattoQuotidiano
