Zelensky: “Noi abbiamo accettato la proposta Usa di un cessate il fuoco, ma La Russia non vuole fermarsi”
Nel giorno di lutto nazionale per la strage dei bambini di Kryvyi Rih, Mosca non ha pietà delle città ucraine. E torna a bombardare tutto il Paese invaso, compresa la capitale Kiev dove i missili balistici russi hanno provocato un morto e tre feriti e distrutto parzialmente l’edificio della Freedom Tv, il canale pubblico ucraino che trasmette in lingue straniere, russo compreso.
E mentre bombardano dal cielo, le forze di Vladimir Putin si muovono a Sumy, nel nord dell’Ucraina, dove in una rara avanzata rivendicano la conquista della città di Basovka, a circa 3 km dal confine del Kursk.
«Fake news», hanno replicato i militari ucraini.
Ma resta il segnale preoccupante per la difesa di Kiev, che non può permettersi di subire ulteriori perdite territoriali, mentre l’esercito è sempre più in difficoltà su tutte le linee di combattimento e la diplomazia fatica a fermare gli scontri che ormai vanno avanti da oltre tre anni.
Oltre ai raid su Kiev, i droni di Mosca hanno colpito a Mykolaiv, Sumy, Kharkiv, Khmelnytskyi e
Cherkasy, mentre a Kherson un attacco ha provocato un morto.
Un crescendo di raid che, secondo Volodymyr Zelensky, rivela le reali intenzioni del Cremlino:
proseguire la campagna di terrore finché il mondo lo permetterà. “La Russia non vuole fermarsi. Ogni nostro partner, dagli Stati Uniti all’Europa, lo ha visto chiaramente. Per questo motivo, la pressione deve continuare”, ha ripetuto il presidente ucraino ricordando che lui “ha accettato la proposta dell’America di un cessate il fuoco completo e incondizionato. Ma Putin la rifiuta. Stiamo aspettando la reazione degli Stati Uniti, ma non ce n’è ancora nessuna”, ha criticato Zelensky alimentando quella che ormai è una polemica quotidiana con gli Stati Uniti, accusati di essere deboli nella posizione con la Russia.
Le tensioni rischiano di esplodere nei prossimi giorni, quando una delegazione di Kiev viaggerà a Washington per discutere della nuova proposta americana sull’accordo per i minerali ucraini, considerata ampiamente sfavorevole per il Paese invaso.
