Nei due giorni successivi all’annuncio dei dazi di Trump, i mercati hanno perso 5,4 trilioni di dollari di valore e hanno trascinato l’S&P500 al livello più basso in 11 mesi
Mercati sempre più giù per i timori che l’escalation della guerra commerciale danneggerà la crescita economica e frenerà la domanda dei consumatori. In Asia Tokyo termina in calo di oltre il 7%.
In Europa banche ko con rischio recessione. A picco il petrolio e il bitcoin con la criptovaluta ai minimi da cinque mesi.
Nuova seduta in profondo rosso per le banche italiane per le incertezze legate ai dazi imposti da Donald Trump. Dopo aver bruciato 38 miliardi di capitalizzazione tra giovedì 2 e venerdì 3, lunedì 7 aprile il settore ha aperto le contrattazioni in territorio negativo segnando un -7%.
L’andamento dei titoli
Gli istituti hanno avviato la seduta in rosso: Mps a -11,2%, Popolare Sondrio a -12,06%, Intesa Sanpaolo -7,03%, anche se poi hanno leggermente recuperato terreno. A metà mattinata il bilancio è: Intesa Sanpaolo – 6,8%, Unicredit -7,02%, Banco Bpm -9,42%, Mps -8,05%, Bper -7,54%. In tre sedute il calo medio dell’indice Ftse Italia Banche ha superato il 20%. Nel resto dell’Europa male vanno in particolare Banco Sabadell (-11,02%) e Santander (-8,17%) a Madrid, Commerzbank (-10,83%) a Francoforte e Société Générale (-9,97%) a Parigi.
I timori del mercato
Il sospetto degli investitori è che i dazi introdotti da Donald Trump e la risposta immediata della Cina possano frenare la crescita economica in Europa e creare forti pressioni recessive. Nelle ultime ore gli economisti di Goldman Sachs hanno abbassato le prospettive di crescita tendenziale degli Stati Uniti per il quarto trimestre 2025 allo 0,5% dall’1% e vedono una probabilità di recessione del 45% nel prossimo anno, dal precedente 35%, mentre il mercato considera probabile al 60,5% un taglio dei tassi Fed in maggio.
Un scenario di questo genere peserebbe anche sugli istituti di credito peggiorando la qualità degli attivi e quindi la capacità di produrre profitti dopo un periodo d’oro come il 2023 e il 2024. Gli analisti fanno comunque osservare che oggi le banche italiane sono attrezzate per affrontare anche uno scenario di frenata economica. Da un lato gli istituti hanno una buona qualità del credito grazie alle pulizie fatte di bilancio negli scorsi anni. Dall’altro lato le politiche prudenziali e gli utili realizzati tra il 2023 e il 2024 hanno ulteriormente rafforzato la posizione patrimoniale, con eccessi di capitale anche cospicui rispetto ai minimi regolamentari. Un quadro insomma che appare al momento decisamente più rassicurante rispetto al decennio scorso.
L’impatto sulle ops
L’attenzione del mercato è concentrata soprattutto sui particolari effetti che i ribassi prolungati potrebbe avere sulle offerte pubbliche in corso.
Gli istituti coinvolti nel consolidamento lanciano messaggi che provano a rassicurare: due sedute in rosso non sono ancora un trend e le valutazioni possono essere fatte solo su archi temporali più ampi. Tanto più che per le ops, cioè le offerte solo in azioni come nei casi Unicredit- Banco Bpm, Mps– Mediobanca e Bper– Popolare di Sondrio l’effetto delle fluttuazioni di borsa potrebbe anche rivelarsi neutro: se i titoli di offerenti e target si muovessero nella stessa direzione e con la stessa intensità, i rapporti di concambio non subirebbero scossoni.
