A Caltanissetta, come in tante altre realtà, ci sono figure che sembrano aver dimenticato la natura del loro ruolo, forti di una posizione, spesso ottenuta per vie tortuose o grazie a una rete di favori, cambi repentini di casacche, tradimenti politi, passaggi da destra a sinistra e relativi ritorni alle origini, rimangiate di patti e accordi, di promesse non mantenute, e che si ergono a signori e padroni di un territorio che in realtà appartiene a tutti i cittadini.
Questi “potenti” o “padroni” locali, spesso circondati da una corte di adulatori, pronti ad amplificare ogni loro gesto, fatto o parola, sviluppano una pericolosa patologia, la miopia.
La realtà della città, con le sue problematiche e le voci di chi fatica, si fa lontana, sembra loro non interessare, presi come sono da pensare e impegnarsi solo ad una cosa, acquisire potere e poltrone.
E quando alcuni cittadini osano esprimere un disagio, una critica, ecco che si attiva il meccanismo perverso della delegittimazione, dell’attacco incrociato, spesso concordato, per demolire e annientare chi dissente.
Il tutto ovviamente con il sostegno dei loro “ruffiani/e”, scuserete il termine forse troppo crudo, ma che risulta efficace nel descrivere chi vive del riflesso di potere altrui e di questi presunti “leader” che si arrogano il diritto di attaccare, giudicare, sminuire e persino offendere chi non si allinea al loro pensiero unico.
Ma la città e di tutti i cittadini, non un feudo da spartirsi tra i soliti noti, per le loro ambizioni personali e i loro giochi di potere, la città è di chi la vive, di chi la respira giorno dopo giorno con fatica e speranza, quella di vederla finalmente rinascere e di chi soffre nel vederla agonizzante.
Le lamentele vengono etichettate come infondate, le preoccupazioni come esagerazioni, e chi le solleva come un “nemico” della città, un “guastafeste” che non comprende la “visione” illuminata dei detentori del potere che fanno il tutto per il famoso “amore per la città”.
Coloro che criticano rimangono spettatori inermi in casa propria, ammoniti e ripresi anche nell’esprimersi democraticamente; bisogna solo parlare bene, costretti a subire reprimende e scelte che impattano direttamente sulla loro vita e, cosa più grave, sul futuro dei propri figli.
Questi atteggiamenti tipici di un periodo fortunatamente passato, ma che rischia di tornare , almeno nei modi di fare e nei comportamenti di certi signori, è un tarlo silenzioso che rode la fiducia, che avvelena il tessuto sociale, che scoraggia la partecipazione civica e che soffoca ogni tentativo di dialogo costruttivo.
La città, che dovrebbe essere uno spazio di confronto e di crescita collettiva, dove chi ha qualcosa da dire dovrebbe essere ascoltato o, se dice inesattezza, smentito con i fatti.
Invece si va avanti con narrazioni su narrazione, favole su favole, promesse su promesse.
Ad attaccare, sentendosi superiori, mandano i loro “soldatini”, che non sempre sono i migliori o i più furbi, sono volontari che si mettono a disposizione sperando in qualche futura ricompensa.
Così continuando la città rischia di trasformarsi in un feudo dove il “padrone/i” decidono e la maggioranza subisce, temendo ogni tipo di ritorsione, dalle verbali a quelle più concrete.
Ma una comunità viva e sana non può prosperare sull’arroganza, sul disprezzo per le opinioni altrui sul continuo tentativo di mettere a tacere chi non accetta questi metodi.
Il vero potere o leadership non risiede nella capacità di zittire le voci dissenzienti, ma nell’abilità di ascoltarle, di comprenderle e di trasformarle in spunti per un miglioramento condiviso, ma la loro arroganza mai accetterà un’idea o un semplice suggerimento, specialmente se arriva da chi critica o della parti politica avversaria, non sia mai.
È venuto il tempo che queste ombre lunghe sulla nostra città si ritirino, lasciando spazio a una luce fatta di rispetto, di umiltà e di vera dedizione al bene comune.
I cittadini di Caltanissetta non sono sudditi da governare con supponenza, ma persone con diritti e dignità, le cui voci meritano di essere ascoltate e considerate con la serietà che si conviene a una comunità civile.
Purtroppo si fanno forte della famosa “apatia” di alcuni cittadini nel dissentire al potente di turno, sapendo di poter contare su quella folta truppa di “soldatini”, che pur subendo anche loro danni, come ad esempio l’aumento della TARI, che ha colpito tutti indistintamente, e che tace anche quando mettono le mani nelle loro tasche, provando a giustificare anche certi aumenti spropositati o azioni repressive.
Quindi o si è apatici o soldati…sicuramente la seconda.
I cittadini, quelli che al contrario coraggiosamente dissentono, vengono accerchiati, presi di mira sperando che, non resistendo, si allineino alla loro fede, fatta di interessi e connivenze.
È però venuto il tempo di alzare la testa e ricordare a questa gente che loro non sono i “padroni”, loro sono semmai a servizio dei cittadini e chi vede esclusivamente le poche cose positive, negando o non guardando quelle negative, è suo schiavo, in quanto individuo considerato di proprietà del padrone, privo anche di pensare e agire autonomamente.
Sappiano tutti che il potere arriva dal popolo, che sono loro a dover assecondare le esigenze dei cittadini, non usarli per se stessi e per per le loro “truppe”, sappiano comunque che l’arroganza e la presunzione alla lunga presenta il conto…conto che ad alcuni sta per essere recapitato.
Quella di molti cittadini non è di sterile protesta, come molti preferiscono definirla, per stroncarla, ma un tentativo di riappropriazione, per tornare a essere protagonisti del proprio destino.
Ma quei pochi cittadini da soli non riescono ad abbattere il muro della “fortezza”, serve il supporto di chi si oppone nelle sedi opportune e, con gli strumenti che la democrazia mette a disposizione, con determinazione e fermezza, muoversi insieme ai cittadini, i dissenzienti, per spingere insieme l’ariete per abbatter il muro, per non farsi più calpestare, offendere e denigrare.
Questo diventa oggi, domani e sempre oltre che un dovere, un obbligo.
È amaro rendersi conto di quanta distanza si sia creata tra chi decide e chi subisce.
Ma da questa amarezza può e deve nascere una nuova consapevolezza, una nuova energia, una nuova unità. L’energia di chi si riprende ciò che gli spetta di diritto…la propria città.
Non si può aspettare che qualcuno ci restituisca ciò che è già nostro, loro non lo faranno mai, avendo già dimostrato di pensare principalmente a come riempirsi sempre più le loro tasche, fregandosene degli altri.
E’ giunto il momento di scendere in campo, di metterci la faccia, accantonando, in alcuni casi, appartenenze politiche, amicizie e certi timori reverenziali e rispetto, che loro non dimostrano di avere, se non verso i soliti “amici” pronti a difendere l’indifendibile.
È il momento di reagire, il momento è adesso, se non ora quando?
Ad Maiora
