Caltanissetta, terra di zolfo, arte barocca, cultura e, a quanto pare, di una certa agilità politica che farebbe impallidire il più bravo dei contorsionisti
Si parla tanto di vincolo di mandato, ma diciamolo francamente, in Italia, come anche dalle nostre parti sembra un optional che viene tradito solo a condizione che… e sappiamo bene tutti a quali condizioni.
Torniamo indietro. Campagna elettorale dal “calor bianco”, volantini a profusione, promesse che suonano come patti di sangue, parole, pesanti contro il “l’avversario” da sconfiggere, una visone di futuro per far crescere la città, giuramenti di fedeltà allo schieramento che li ha accolti.
Il cittadino, con la solennità di chi affida il suo destino e quello della città, appone la sua croce fiduciosa e piena di speranza, nella scheda elettorale.
Ma non vota solo la persona, vota un’idea, un progetto, di cui si fida.
È come comprare un qualcosa che ti da una certa garanzia e sicurezza, ad esempio un pacchetto vacanza, che sai dove vai, cosa vedrai e dove mangerai e dormirai.
E poi, come per magia, quel sognato e bel pacchetto vacanza si trasforma in un biglietto aereo con una destinazione completamente diversa.
Quel movimento, quel vice sindaco designato, insieme agli assessori di quella formazione che ambiva al governo della città, quei consiglieri che fino a ieri indossavano fieramente la maglietta di una squadra, oggi hanno nello zainetto la bandiera dell’ex avversario, pronta per essere esibita al pubblico.
Ma non un avversario qualunque, l’avversario che magari, fino al giorno prima delle elezioni, veniva dipinto come l’incarnazione del “male politico”.
A Caltanissetta, a volte, sembra che il vincolo di mandato sia una sorta di “prova costume”, versione politica, lo metti, ti guardi allo specchio, capisci che ti fa afre bella figura, ti fai vedere, poi lo togli e indossi un altro e vai a fare il bagno dove pare a te.
Il cittadino che li ha votati, fidandosi, si ritrovano con la sensazione di aver puntato su un cavallo che dopo un po’ di strada, decide di cambiare fantino e scuderia, incurante degli “scommettitori”, passando in una scuderia a lui più conveniente.
La teoria del “passaggio di casacca” non è una novità assoluta, ma lascia sempre l’amaro in bocca.
Alcuni la chiamano “responsabilità istituzionale”, altri “spirito costruttivo”, chi “opportunità per dare un contributo migliore alla città”., ma c’è chi la chiama semplicemente “poltrona”.
Sarà che l’aria di Caltanissetta in questi giorni è ancora frizzante, ma se il dormire la sera soltanto con la trapuntina piace, non piace di certo questo cambiamento.
Il bello è che, spesso, il passaggio avviene con una logica degna del miglior filosofo. Si passa dalla parte opposta, ma solo se c’è un’occasione irripetibile, venduta come un’opportunità di “mettersi al servizio” dei cittadini, come se non lo si potesse fare rimanendo nello schieramento in cui si è stati eletti, ma che solo adesso si è capito che per “il bene comune” bisogna cambiare posto.
È come se il voto non fosse un contratto con gli elettori, ma un biglietto aperto per andare dove si vuole, magari optando per un posto al tavolo del “nemico”.
Insomma, a Caltanissetta, la politica a volte assomiglia a un Casinò, dove i giocatori cambiano tavolo e mazzi di carte a piacimento.
E il cittadino? Il cittadino, con il voto espresso lo scorso anno, rimane lì, a guardare il consiglio comunale che si svuota da una parte e si riempie dall’altra, chiedendosi se la prossima volta sia il caso di ridargli fiducia o se sarà meglio votare un artista di strada, almeno lui, se cambia piazza, è liberissimo di farlo, in fondo non ha chiesto a nessuno dove piazzare i suoi strumenti per dare il suo spettacolo. A d Maiora
