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Ora anche l’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio boccia, il ReArm Eu. Il governo pensa ai prestiti europei

Last updated: 13/06/2025 6:10
By Redazione 131 Views 6 Min Read
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L’authority dei conti: rischi sul debito e scarsi impatti sul Pil. Roma vuole accedere ai fondi Safe. Piano per arrivare al 5%: inserirà Ponte e spazio

Il linguaggio è quello diplomatico che richiede il contesto, ma la sostanza è chiara: dopo Bankitalia,
anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Authority dei conti pubblici, pare poco convinto
del piano di riarmo a tappe forzate proposto dalla Commissione europea (Readiness 2030, già Rearm Eu). I dubbi emergono dal capitolo difesa del rapporto annuale presentato ieri dalla presidente Lilia Cavallari: rischi sui conti, scarsa efficacia del riarmo solo nazionale e scarsissimo impatto sulla crescita. L’analisi arriva nelle stesse ore in cui il governo discute se aderire al piano proposto da Ursula von der Leyen, 800 miliardi di cui 650 di debiti nazionali e 150 di prestiti Ue attraverso il programma “Safe”. Proprio questi ultimi sarebbero il compromesso individuato per ricucire la distanza tra il ministro dell’Economia Giorgetti, contrario a un forte aumento delle spese militari, e
quello della Difesa Crosetto, che vorrebbe attivare la clausola nazionale per escluderle dal Patto di Stabilità.
Magari se ne parlerà nell’incontro tra Giorgia Meloni e il segretario della Nato Mark Rutte in vista del vertice dell’Alleanza atlantica di fine mese che sancirà il nuovo obiettivo, che andrà ben oltre
il 2% del Pil previsto finora (il governo dice di esserci arrivato, ma per l’Upb siamo all’1,5%).
Al momento 16 Paesi hanno chiesto l’attivazione della clausola. Cavallari ha ricordato che le pressioni in tal senso sono aumentate, ma “il ricorso all’indebitamento per accomodare un aumento
permanente della spesa per difesa potrebbe avere conseguenze rilevanti per il percorso di riduzione del debito” e quindi sui suoi costi di finanziamento.
Se un lieve aumento di spesa sarebbe compatibile con una riduzione del rapporto debito/Pil, l’attivazione piena della clausola, seppur progressiva (una spesa pari a 1,5% del Pil, circa 37 miliardi in più) renderebbe impossibile rispettare il Piano strutturale di bilancio concordato con la commissione.
Con quali effetti? “Riportare il debito su un sentiero discendente richiederebbe un ulteriore sforzo di consolidamento nel successivo Piano strutturale, ponendo difficili scelte di riallocazione della
spesa o aumento della pressione fiscale”. Tradotto: serviranno nuove tasse o tagli il che significa
meno welfare e addio ai sogni del governo di ridurre le imposte “al ceto medio”. Un assist a Giorgetti,
che infatti, a margine della presentazione, lo fa capire: “Affrontiamo il tema delle spese della Difesa
tenendoci coerenti con la nostra linea di sana gestione della finanza pubblica, che ha prodotto un
aumento della credibilità anche sul debito”.
Il rapporto Upb mette in dubbio l’efficacia di una corsa nazionale al riarmo in cui ogni Paese va
per conto suo, tanto più che non tutti hanno lo spazio fiscale per farlo. “Il successo –si legge –sarebbe maggiormente garantito da un aumento di spesa finanziato a livello della Ue e da una maggiore centralizzazione delle decisioni”. Prima di aumentare la spesa, insomma, “sarà determinante la disponibilità degli Stati a integrare i sistemi di difesa sfruttando economie di scala e di scopo”. La cosa è tanto vera se si considera lo scarso impatto sulla crescita che ha la spesa in armi. Secondo le simulazioni dell’Upb, un aumento di 0,25 punti di Pil della spesa nel 2025 e dello 0,5 dal 2026 al 2028 produrrebbe un effetto cumulato sulla crescita di soli 0,3 punti di Pil in quattro anni (dal 2025 al 2028).
Musica per le orecchie di Giorgetti, che prova a resistere alle pressioni per un aumento generalizzato
della spesa. Meloni, al momento, resta contraria all’attivazione della clausola. Il compromesso a cui
si lavora è accedere ai prestiti Ue del Safe, che –agli occhi di Chigi e del Tesoro –hanno diversi vantaggi, primo fra tutti quello di ridurre l’impatto mediatico e le cifre in ballo. Quelli finanziari li ricorda lo stesso Upb: i rendimenti sui prestiti Ue “risulterebbero più bassi rispetto ai titoli di Stato italiani soprattutto sulle scadenze più lunghe”, che possono arrivare fino a 45 anni. I versamenti sarebbero poi vincolati a specifici obiettivi, come funziona con il Pnrr. A non dire che il governo sogna di evitare anche un passaggio in Parlamento, passando solo dal Cdm. Poi c’è la questione di come raggiungere il 5% che ci chiederà laNato: l’1,5% sarà legato ai fondi per la Sicurezza e il governo vuole arrivarci seguendo il principio della flessibilità conteggiando nuove voci di spesa.

Quindi i confini, le minacce ibride, le infrastrutture civili che prevedono lo spostamento di mezzi militari (il Ponte sullo Stretto) , lo spazio e i sottomarini.

Fonte ilFattoQuotidiano di Carlo Di Foggia e Giacomo Salvini

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