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Il dubbio della moralità, perdonata ai politici, un macigno per un cittadino

Last updated: 31/07/2025 7:39
By Sergio Cirlinci 140 Views 5 Min Read
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Il rapporto tra moralità e politica è un tema complesso e dibattuto, specialmente in Italia, dove le questioni giudiziarie che coinvolgono esponenti pubblici, parenti e/o affini, sono all’ordine del giorno.

Se da un lato la Costituzione garantisce la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, dall’altro l’opinione pubblica e la responsabilità morale dei politici spesso si scontrano con questa garanzia costituzionale.

La presunzione di innocenza è un pilastro fondamentale di ogni Stato di diritto, assicurando che nessuno sia considerato colpevole fino a condanna definitiva.

Tuttavia, quando un politico, parenti e/o affini, sono coinvolti in indagini o in sentenze non definitive, specialmente se emergono intercettazioni che rivelano condotte discutibili o chiaramente compromettenti, il solo riferimento alla presunzione di innocenza appare insufficiente.

Le intercettazioni, in quanto registrazioni della “viva voce” dell’indagato, o sentenze non ancora definitive, possono offrire un quadro ben diverso da semplici indizi, suggerendo fatti e circostanze che rendono difficili future giustificazioni.

In questi casi, ci si aspetterebbe che il politico faccia un passo indietro, sospendendosi volontariamente dal ruolo ricoperto in attesa che la giustizia faccia il suo corso e la situazione venga chiarita completamente.

Questo non equivarrebbe a una dichiarazione di colpevolezza, ma piuttosto a un atto di responsabilità etica nei confronti dei cittadini e delle istituzioni.

Chi agisce nella sfera pubblica assume infatti un ruolo di garante degli interessi collettivi, e la sola ombra di un coinvolgimento in reati può minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Un’ulteriore fonte di frustrazione per l’opinione pubblica è la percezione dell’esistenza di un “doppio binario”.

Mentre un comune cittadino se accusato di un reato può subire immediate conseguenze, come la sospensione dal posto di lavoro, per i politici si tende a invocare immediatamente la presunzione di innocenza.

Questo divario alimenta la sensazione che il modo di interpretare la legge non sia uguale per tutti, minando ulteriormente la fiducia nelle istituzioni.

La situazione si aggrava quando individui condannati con sentenze definitive, anche per reati gravi come quelli di mafia, riescono a rientrare nella vita pubblica, giustificando il proprio ritorno con l’argomento di aver “pagato il prezzo”.

Questo contrasta con la realtà di un cittadino comune che, anche dopo aver scontato la pena, continua a portare il marchio del “pregiudicato” o “delinquente” a vita, per lui l’avre scontato la pena non vale, rimane un delinquente marchiato a vita.

La società, nel caso sia un politico, sembra invece chiudere un occhio, mettendo da parte principi di moralità e onestà, inclusa quella intellettuale, in nome di un mero tornaconto.

La moralità e l’onestà, soprattutto in politica, dovrebbero essere principi irrinunciabili, non semplici parole usate a proprio uso e consumo.0

La legittimità di un politico non dovrebbe derivare solo dalla sua posizione, ma anche dalla sua credibilità morale e dalla sua capacità di mantenere la fiducia dei cittadini.

Il rischio di entrare in certe indagini fa parte del ruolo che si ricopre, e la capacità di riconoscere i propri errori, o quelli delle persone di cui ci si circonda o gli stanno vicino, è un segno di maturità e spessore politico e di rispetto per le istituzioni e per i cittadini.

Se un politico viene poi scagionato, è giusto che rientri a pieno titolo nel suo ruolo; ma nel frattempo, il “passo indietro” rimane un atto dovuto per la salvaguardia dell’integrità del sistema democratico.

Questo è ovvio vale a tutti i livelli, dal consigliere comunale all’eurodeputato, chi li ha votati ha riposto fiducia in loro, fiducia che non piò essere intaccata da scandali, sentenze, anche non definitive o inchieste varie. Ad Maiora

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