La Cgia Mestre: nei prossimi anni mancheranno all’appello quasi 174mila occupati. In gran parte sono determinati sia dai pensionamenti che dai trasferimenti all’estero
L’allerta era suonata già lo scorso maggio, per voce della stessa associazione e con dati proiettati
sul prossimo decennio, ma adesso i numeri fanno ancor più rumore, perché “dispersi” in meno di un quinquennio, da qui al 2029, quando in Sicilia mancheranno all’appello quasi 174mila lavoratori, con il vuoto più grande nel settore pubblico.
È quanto emerge dall’ultimo report della Cgia di Mestre, che nell’Isola, per l’esattezza, calcola
un ammanco di 173.900 posti di lavoro, piazzando la regione al settimo posto in scala nazionale
nella speciale classifica, e al secondo nel Mezzogiorno, superata solo dalla Campania.
Facilmente intuibile la principale ragione del velocissimo deficit, ossia il pensionamento,
anche se una piccola minoranza non timbrerà più il cartellino per altri motivi, come l’emigrazione all’estero.
In ogni caso, rimarca la confederazione degli artigiani, «nel giro di qualche anno assisteremo a una vera e propria “fuga” da scrivanie e catene di montaggio. Un “esodo” mai visto finora», a livello
regionale e in tutta Italia, dove più di tre milioni di persone «passeranno dal mondo del lavoro
all’inattività in pochissimo tempo, con conseguenze sociali, economiche ed occupazionali di portata storica per il nostro Paese».
Ma a differenza di molti altri territori, a cominciare da quelli in testa al ranking come la Lombardia, in quello siciliano, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, «più che i dipendenti privati a mancare saranno i lavoratori pubblici e gli autonomi, con un peso del 57% sul totale del gap», ossia 99.300 unità, per la maggior parte dipendenti pubblici distribuiti tra Regione,
Comuni e altri enti, «visto che questa tipologia di occupati è quella con l’età più avanzata, dunque più vicina alla pensione».
Insomma, se proprio si vuol vedere il bicchiere mezzo pieno, meglio guardare al settore privato, «perché almeno su questo fronte», continua Zabeo, «la Sicilia è più “virtuosa”di altre regioni, con un’età media decisamente più bassa.
Ma questo non vuol dire che le piccole e grandi aziende non avranno problemi di personale», anche
perché le imprese che insistono al di qua dello Stretto vanno avanti con un indice di anzianità
– leggi presenza di over 55 – quasi identico a quello nazionale, pari a 65. Così, tra non molto,
quando decine di migliaia di lavoratori con elevata esperienza e professionalità dovranno essere
sostituiti, pure gli imprenditori siciliani, «non trovandoli sul mercato, non avranno alternativa:
dovranno contendersi i migliori dipendenti dei concorrenti, offrendo a questi ultimi incrementi salariali significativi, dando luogo a forme più o meno simili al ricatto, dove i titolari d’azienda e le figure più ambite cercheranno di prevalere per ottenere il massimo vantaggio».
D’altronde, le difficoltà esistono già adesso. Per capirlo basta analizzare l’ultimo bollettino
di Unioncamere, che da qui a fine mese stima nell’Isola un fabbisogno di 25.560 lavoratori, il 42,5% di difficile reperimento.
Tra le persone più difficili da trovare, ingegneri, tecnici della salute, addetti nelle attività di
ristorazione, operai specializzati nell’istallazione e manutenzione di attrezzature elettriche,
nonché fonditori, saldatori, lattonieri, carpentieri e meccanici.
Fonte La Gazzetta del Sud di Andrea D’Orazio
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