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Sanità, i Livelli essenziali (Lea) non garantiti in 8 Regioni. Il governo canta vittoria per le 13 promosse, ma il sistema considera solo 26 indicatori su 88

Last updated: 03/09/2025 18:40
By Redazione 89 Views 5 Min Read
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Lea 2023: 13 Regioni adempienti come nel 2022. 26 indicatori e soglia 60 coprono il divario Nord-Sud. Il governo plaude, ma Gimbe dà l’allarme

Contents
Una pagella che abbassa l’asticellaResponsabilità politiche, non geograficheSi precisa: la pubblicazione di un articolo e/o di un’intervista scritta o video in tutte le sezioni del giornale non significa necessariamente la condivisione parziale o integrale dei contenuti in esso espressi. Gli elaborati possono rappresentare pareri, interpretazioni e ricostruzioni storiche anche soggettive. Pertanto, le responsabilità delle dichiarazioni sono dell’autore e/o dell’intervistato che ci ha fornito il contenuto. L’intento della testata è quello di fare informazione a 360 gradi e di divulgare notizie di interesse pubblico. Naturalmente, sull’argomento trattato, caltanissetta401.it è a disposizione degli interessati e a pubblicare loro i comunicati o/e le repliche che ci invieranno. Infine, invitiamo i lettori ad approfondire sempre gli argomenti trattati, a consultare più fonti e lasciamo a ciascuno di loro la libertà d’interpretazione.                                                 

Nel 2023 solo 13 Regioni raggiungono gli standard essenziali di cura (Lea): il numero è identico al 2022. In testa il Veneto; al Sud passano l’esame soltanto Puglia, Campania e Sardegna. Lo certificano la Relazione 2023 del Ministero della Salute (pubblicata il 6 agosto) e l’analisi della Fondazione Gimbe diffusa oggi, che misura il divario Nord-Sud e lo stato di salute del Ssn. «La tutela della salute dipende in larga misura dalla regione di residenza».

Una pagella che abbassa l’asticella

Il monitoraggio ministeriale usa il sottoinsieme “Core” del Nuovo Sistema di Garanzia: 26 indicatori su un totale di 88, suddivisi in prevenzione, distretto e ospedale. Per essere “adempienti” bastano 60 punti in ciascuna area. È la pagella ufficiale, ma è costruita per essere indulgente: poche misure, soglie basse, un cruscotto che racconta la sopravvivenza del sistema più che la qualità dell’assistenza. Gimbe, infatti, ha ricalcolato la classifica sommando i punteggi delle tre aree, rendendo più nitido lo scarto territoriale: tra le prime dieci Regioni, sei sono del Nord, tre del Centro e solo una del Sud; nelle ultime sette posizioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, compaiono solo territori meridionali.

Il quadro puntuale è chiaro: nel 2023 risultano adempienti Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. Entrano tra le “promosse” Campania e Sardegna; retrocedono Basilicata e Liguria. Restano inadempienti per una sola area Calabria, Molise e Bolzano; per due aree Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta. Non è un dettaglio: significa che in ampie porzioni del Paese l’accesso alle prestazioni essenziali resta a rischio di discontinuità.

I numeri dicono che la diga cede anche dove sembrava solida. Tra 2022 e 2023 peggiorano otto Regioni; i cali peggiori sono in Basilicata (−19), Lombardia (−14), Sicilia (−11) e Lazio (−10). Sul fronte opposto migliorano Calabria (+41) e Sardegna (+26). Se arretrano territori “forti” per risorse e reputazione sanitaria, la tenuta del Ssn non è più garantita. È, per usare le parole di Gimbe, «un campanello d’allarme che non può essere ignorato».

Responsabilità politiche, non geografiche

Qui sta il nodo politico. Quando il governo accetta una pagella che pesca 26 indicatori su 88 e si accontenta della “sufficienza” a 60 punti, istituzionalizza l’idea che basti galleggiare. La propaganda può dire “tutto bene”, ma i dati non mentono: le Regioni adempienti restano 13, come l’anno precedente; la frattura Nord-Sud «non accenna a ridursi»; e le riclassifiche di Gimbe mostrano che l’uniformità nell’erogazione è l’eccezione, non la regola. In Calabria, Valle d’Aosta, Liguria e Bolzano gli sbilanciamenti tra prevenzione, distretto e ospedale rivelano sistemi che funzionano a macchia di leopardo: una sanità “buona” in un’area e fragile nelle altre non risponde ai bisogni reali.

La responsabilità è nazionale, prima che regionale. Se il Ministero mantiene soglie basse e un perimetro di misurazione così ridotto, certifica un universalismo di carta. Serve l’opposto: allargare e ruotare gli indicatori; usare piani di rientro e commissariamenti come strumenti di qualità e non solo di contabilità; fissare obiettivi esigenti su prevenzione e territorio; rendere immediatamente visibili – e politicamente sanzionabili – i fallimenti sui Lea. Perché oggi il diritto alla salute viaggia su binari diseguali: stesso Ssn sulla carta, servizi diversi nella realtà. E un governo che sventola la pagella mentre i divari crescono non difende il servizio pubblico: ne accompagna, pezzo dopo pezzo, il ridimensionamento.

Fonte LANOTIZIAGIORNALE.IT di Giulio Cavalli

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