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Flotta dura, contro la paura! Solo un gesto solidale può far saltare il piano Trump

Last updated: 01/10/2025 12:57
By Redazione 94 Views 9 Min Read
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Nelle parole di Meloni, è la missione della flotilla a rappresentare una minaccia. Un mondo alla rovescia, in cui attivisti comuni tengono in piedi ciò che resta del diritto internazionale

La notte è passata: tra le due e le tre del mattino, le navi della Global Sumud Flotilla sono entrate nelle 150 miglia nautiche le separano da Gaza. È il limite oltre il quale Israele potrebbe intervenire per fermare la missione. È ciò che – probabilmente – avverrà nelle prossime ore, perché mentre scrivo le barche sono a 100 miglia dalla terraferma, scortate dall’Idf. Sommergibili e navi militari girano intorno alla Flotilla da ore, hanno disattivato le comunicazioni della nave madre Alma, poi di quella che aveva preso il comando al posto suo.

Il blocco navale imposto da Israele non è solo una violazione del diritto internazionale, è una condanna a morte per migliaia di civili. Non esiste alcuna giustificazione giuridica per impedire l’accesso agli aiuti umanitari. E la condotta ostile delle forze israeliane ha trasformato un’iniziativa pacifica in un teatro di minaccia e rischio per chi tenta semplicemente di portare aiuti.

Eppure, nelle parole della Presidente Meloni, è la missione umanitaria civile a rappresentare una minaccia e un elemento di escalation. Un elemento che potrebbe danneggiare l’unica proposta di pace possibile secondo le destre del mondo: il piano Trump, su cui Meloni chiede unanimità al Parlamento italiano. A ruota, Matteo Renzi, sempre pronto a vendere diplomazia in saldo, ci spiega che per salvare Gaza servono i piani dei prezzolati di ieri, non chi rischia la vita per portare miele e garze e aprire valichi e corridoi umanitari contro l’occupazione e l’apartheid.

È la fotografia di un mondo alla rovescia, dove sono attivisti comuni a tenere in piedi ciò che resta del diritto internazionale, mentre i governi del mondo preparano una pace capestro a un popolo stremato e massacrato. Non sappiamo ancora se Hamas accetterà, né possiamo sperare nell’ecatombe che si annuncia in caso contrario. Sia chiaro però che la pace perenne di Trump è una neo-colonizzazione, un capolavoro di colonialismo.

Dopo due anni di genocidio, quasi il 10% della popolazione sterminata con bombe e carestia provocata, il 90% di territorio distrutto, i trasferimenti forzati; dopo le denunce internazionali e i mandati di cattura per crimini di guerra, le prove legali dell’illegalità dell’occupazione, dell’assedio, dell’esistenza dell’apartheid. Ecco, dopo tutto questo si propone un piano in cui i palestinesi non sono previsti. Non hanno voce in capitolo, sono trattati come corpi estranei che devono stare sotto il controllo, la guida e la gestione di altri. Quegli altri che per due anni hanno contribuito al genocidio.

Nei venti punti manca qualsiasi coinvolgimento della popolazione palestinese: nella formazione dell’organo tecnico di amministrazione come nell’organo di supervisione politica. Invece è contemplata la presenza di Blair, nota mediatore internazionale di grande statura diplomatica: l’uomo che portò il Regno Unito nella guerra d’Iraq con prove fabbricate.
Il coinvolgimento delle Nazioni Unite è previsto solo a fini umanitari. Non si parla di una commissione d’inchiesta indipendente sui crimini commessi il 7 ottobre e, successivamente, da Israele. L’amnistia per i tagliagole di Hamas che “rinuncino alla violenza” è la premessa per l’immunità dei criminali dell’altra parte. Decine di migliaia di vittime palestinesi vengono completamente dimenticate.

Questo non è un accordo di pace, ma una stabilità regionale imposta che non prevede liberazione. Come ha scritto Stefano Pierpaoli in un bellissimo articolo su Conseguenze, “leggere il documento è come attraversare uno specchio deformante” in cui le formule significano tutt’altro: “zona deradicalizzata” vuol dire sorveglianza permanente; “comitato apolitico” vuol dire esclusione dei palestinesi dalle decisioni sulla loro terra; “Forza Internazionale di Stabilizzazione” significa militarizzazione a tempo indeterminato. Si dice che “Israele non occuperà né annetterà Gaza”, ma subito dopo che manterrà “una presenza di perimetro di sicurezza finché Gaza non sarà adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica”. Vuol dire: per tutto il tempo che riterremo.

Questa è la lingua dell’occupazione. Un piano che non risolve il conflitto perché in realtà vuole gestirlo e renderlo sostenibile per tutti tranne che per i palestinesi. E una ricostruzione, sottratta al controllo dei palestinesi, che diventa un affare per gli Stati Uniti.

Poi, il ricatto finale: o accettano, o sarà la fine. Su questo Trump ha dato pieno e incondizionato appoggio a Netanyahu: se Hamas rifiuterà il piano, Israele avrà “il sostegno totale degli Stati Uniti” per “finire il lavoro”. Parole che sanno di soluzione finale, di sterminio. Non pensino i palestinesi di rivendicare autodeterminazione, uno Stato con il controllo di risorse e confini, protezione. Non si aspettino ancora processi politici, negoziali, legali fondati sul diritto internazionale. Devono piegarsi alla legge del più forte.

A questo sono serviti la negazione del cibo e il controllo militare degli aiuti: un esperimento di “ingegneria sociale violenta” condotto su un intero popolo, nella propria terra, senza via di fuga. Per il fine mostruoso di distruggere la società palestinese e trasformarla in popolo stremato e disposto ad accettare tutto. Ad accettare di sopravvivere senza prospettive politiche e senza diritti.

Eppure, purtroppo, sarà tutto il mondo a pagare questa mostruosità. Ne esce distrutto il diritto internazionale e ne uscirebbero distrutte le nostre coscienze se nulla accadesse. Ecco perché i movimenti, le piazze, le scuole e università occupate, gli scioperi dei lavoratori dei porti, la Flotilla sono così importanti.

Ho sentito opinionisti dire che questa missione non serve a nulla e anzi produrrà ancora più disordine. Ho sentito dire che è una mossa per contestare il governo Meloni. La Flotilla e le piazze fanno paura agli alfieri della pace coloniale, perché dimostrano che migliaia e migliaia di persone nel mondo hanno una coscienza. Che il loro lavoro per azzerare nella testa della gente l’idea di ciò che è giusto e ciò che sbagliato, per far credere a tutti che il reale è razionale, non sta funzionando.

La Flotilla fa paura perché ha ridato speranza a tantissimi che si sentivano impotenti. Quei tantissimi mettono in crisi l’impunità dei pochi troppo potenti, il loro spazio di manovra. Ora, qualunque cosa faranno, la staranno facendo contro la maggioranza delle persone.

La Flotilla diventa improvvisamente il pericolo numero uno per l’equilibrio mondiale e per il piano Trump. Un equilibrio così fragile che basta un gesto solidale per farlo saltare. Ma, se davvero la speranza di pace poggia su un blocco navale illegale e sull’impunità di chi lo impone, allora è chiaro: non è la Flotilla a mettere a rischio la pace, è quell’idea di pace a essere già fallita.

Da ilFattoQuotidiano.it di Marco Grimaldi, Attivista e Deputato, Alleanza Verdi Sinistra

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