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Il dispositivo magico. Il verdetto della Suprema Corte è stato presentato come un ribaltamento della verità giudiziaria

Last updated: 29/10/2025 6:22
By Redazione 100 Views 6 Min Read
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Ecco la non sentenza di una riga che non ha assolto B. e Dell’Utri

Il dispositivo della Cassazione è racchiuso in un foglio formato A4: protocollo 19997 –2025, misura di
prevenzione di stampo mafioso, parti (processuali) PG/Marcello Dell’Utri + 4. Esito statistico: inammissibilità totale.

E per meglio precisare il concetto, un rigo sotto è scritto: (la Cassazione, ndr)“dichiara inammissibile
il ricorso del Pg’’.

Punto. E basta.
Non c’è nessuna “fine delle menzogne’’, nessuna “verità ristabilita’’, in una parola, nessuna riabilitazione o santificazione: due parole, “inammissibilità totale”, che smentiscono la grancassa mediatica dei giornali del centrodestra, che hanno gridato ai quattro venti l’esistenza di un bollo della Cassazione sull’assenza di legami tra Silvio Berlusconi e Cosa Nostra, che sarebbe stato apposto
dalla Suprema Corte nel processo per la confisca, negata, dei beni del senatore palermitano, tra i fondatori di Forza Italia.

Per conoscere le motivazioni bisognerà infatti attendere ancora qualche mese, ma è chiaro fin d’ora che la Cassazione non ha riaperto vicende giudiziarie del passato, chiuse con la condanna definitiva di Marcello Dell’Utri per concorso in associazione mafiosa, né ha riformato quella sentenza.

Con questo dispositivo, cioè, non sono state messe in dubbio le condotte attribuite a Dell ’Utri, responsabile di avere canalizzato, negli anni, un flusso di denaro proveniente da Berlusconi nelle casse di Cosa Nostra, in cambio della “protezione mafiosa’’.

In queste poche righe la Cassazione si è pronunciata dichiarando inammissibile il ricorso del sostituto procuratore generale Rita Fulantelli sulla confisca definitiva del patrimonio dell’ex senatore palermitano, senza entrare nel merito dei suoi rapporti, accertati, con sentenza definitiva, con Cosa Nostra.

Nel suo ricorso, in sostanza, il magistrato aveva rilevato nel verdetto di appello un’erronea applicazione della legge, e cioè la decisione dei giudici di appello di considerare inammissibile il ricorso del pg, in presenza di un analogo ricorso della Procura della Repubblica.

Il doppio ricorso, ha sostenuto la dottoressa Fulantelli nel maggio scorso, ricorrendo in Cassazione, era invece legittimo poiché l’ar ticolo 593 del codice di procedura penale si applica soltanto ai processi di cognizione e non anche a quelli in materia di misure di prevenzione.

Più interessante si prefigura la parte della motivazione della Suprema corte che dovrà pronunciarsi sul secondo motivo del ricorso della Procura generale, avanzato per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità del verdetto di appello: secondo Fulantelli i giudici di secondo grado si sono pronunciati senza confrontarsi con le ragioni esposte dal procuratore della Repubblica nell’atto di appello, che si sono limitati a definire infondato.

E in quelle righe la procura aveva contestato il verdetto di primo grado, poi confermato in appello, che aveva rilevato l’assenza di una prova certa sul riciclaggio di denaro mafioso nelle imprese
berlusconiane, un sospetto che si trascina ormai da oltre trent ’anni, rilanciato da una nutrita pubblicistica.

E se è vero che in attesa delle motivazioni della Suprema Corte il verdetto di 64 pagine della Corte di appello che esclude il riciclaggio è passato in giudicato, è altrettanto vero che nel corso di questi 30 anni la Cassazione ha ribadito la legittimità di articoli, libri e ricostruzioni giornalistiche che
descrivevano i rapporti tra Fininvest e mafia, naturalmente se fondati su fatti ritenuti veri e
di interesse pubblico.

Un atteggiamento, questo, della Suprema corte che conferma la complessità e la diversa stratificazione delle vicende giudiziarie che hanno preso in esame questo capitolo, ancora non chiarito, della storia italiana.

A partire proprio dal decreto di archiviazione del gip di Palermo Gioacchino Scaduto, dell ’inizio degli anni 2000, che archiviò le indagini a carico di Berlusconi, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, non escludendone la responsabilità, ma sostenendo che i tempi d’indagine previsti dalla legge erano troppo ristretti e dunque incompatibili con gli ulteriori necessari approfondimenti degli elementi raccolti dalla procura.

Da ilFattoQuotidiano di Giuseppe Lo Bianco del 28/10/2025

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