Migliaia di risparmiatori che avevano un buono fruttifero, già rimborsato, hanno ricevuto una raccomandata da BancoPosta in pratica di questo tenore:
“Vi abbiamo accreditato troppi soldi. Ora preleveremo la differenza dal vostro conto”.
A uno che aveva investito 10 mila euro nel marzo 2015 in buoni indicizzati all ’inflazione del tipo J47 erano arrivati dopo 10 anni 14.270 euro anziché 12.038, come avrebbe dovuto essere in base al regolamento.
Da tutti i documenti inviati dai risparmiatori e che Il Fatto ha visionato appare indubbio che si è trattato solo di un errore, che comunque ammettono sia le Poste che la società emittente.
È scontata anche la buona fede: una banca o altro soggetto che vuole imbrogliare i clienti non gli versa più soldi, ma meno di quanti dovuti.
In effetti qualcuno bravo a fare i conti, come un ingegnere di Villar Dora (Torino), mi ha segnalato che l’accredito gli era parso troppo alto. Corrispondeva a un rendimento del 43% circa nei dieci anni passati, di cui solo il 2022 con un’inflazione elevata.
Si tratta, infatti, di una specie di buoni decisamente validi per un risparmiatore prudente, più volte
segnalati anche dal Fatto.
Grazie all ’indicizzazione all’inflazione, combinata con il diritto al riscatto, alla pari in ogni momento, non sarà forse l’investimento più redditizio, ma certo è fra i più sicuri per un piccolo o grande risparmiatore che viva in Italia, ai cui prezzi essi sono agganciati.
Si potrebbe aggiungere che sarebbe stato meglio se la lettera di BancoPosta fosse arrivata ai risparmiatori prima, anziché dopo quattro mesi, e magari con una firma leggibile.
Ed è comprensibile il malcontento di chi si è trovato un addebito che ha azzerato il conto,
senza avere capito bene come stanno le cose.
Per altro, chi conosce i responsabili del risparmio postale alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) – che è l’emittente dei buoni fruttiferi – non ha dubbi che avrebbero ottenuto il valore giusto di rimborso, calcolandolo personalmente.
Il problema è affidarsi a procedure automatiche a occhi più o meno chiusi. Discorso che vale in generale.
Certo che è ancora peggio se un chirurgo lascia operare un robot, senza seguirlo passo passo. Per rimediare a un errore non basta poi uno storno contabile, come coi buoni fruttiferi.
Ora i casi possibili sono tre.
Primo: i soldi in più erano rimasti sul conto e la Posta se li è ripresi senza difficoltà. Secondo: erano serviti per sottoscrivere altri buoni, per cui possono riuscire abbastanza
facilmente a convincere il titolare a riscattarne una parte. Terzo: erano stati prelevati e spesi, col che le cose si complicano.
Poi c’è sempre la vicenda di un rimborso in eccesso di un warrant (uno strumento derivato), dove il
titolare s’è rifiutato di restituire il sovrappiù, affermando di avere fatto affidamento su quella cifra e di averla quindi utilizzata altrimenti. Grazie anche a un abile avvocato, l’ha spuntata lui.
Da ilFattoQuotidiano di Beppe Scienza
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