Per l’Agenzia la sua eredità è gestibile. E durante il Covid ha aiutato la crescita
Dobbiamo tornare indietro di quasi 23 anni, al giugno del 2002, per trovare l’ultima volta in cui
una delle tre principali agenzie di rating ha migliorato il giudizio sul debito pubblico italiano.
Da allora si sono susseguiti solo declassamenti, arrivati a raffica durante i governi Berlusconi e Monti, quando furono adottate politiche di austerità che si sono rivelate tutt’altro che espansive. Il miglioramento del giudizio, che sale di un gradino, da BBB a BBB+, deciso da Standard&Poor ’s questo fine settimana, è frutto del “rafforzamento delle condizioni economiche, esterne e monetarie dell’Italia in un contesto globale sempre più difficile, oltre ai progressi compiuti nella stabilizzazione
della finanza pubblica dall’inizio della pandemia”.
Anche se queste valutazioni non sono infallibili, e in passato a volte si sono rivelate superficiali e smentite dai fatti, osservando gli ultimi dati macroeconomici dell’economia italiana è difficile non condividerne il giudizio, anche se, va ricordato, resta ancora a pochi gradini sopra il livello “spazzatura ”.
Nel 2024, l’Italia ha raggiunto una posizione creditoria netta verso l’estero di circa 300 miliardi di euro, pari al 15% del Pil. Ha consolidato un avanzo commerciale superiore al 3% del Pil, la disoccupazione è ai minimi degli ultimi vent’anni e il debito pubblico è sceso di quasi 20 punti rispetto al picco del Covid.
La domanda che però è lecito porsi, a questo punto, è in che modo questo giudizio si concili con una narrativa che per mesi è andata avanti parlando di voragini fuori controllo e di un “Vajont ” imminente, causato dai crediti fiscali generati con i bonus edilizi.
L’agenzia di rating non si è accorta di questa valanga?
L’impatto degli incentivi edilizi è ovviamente considerato da S&P: “Il debito pubblico continua a crescere a causa dell’aggiustamento di cassa legato al Superbonus, che aggiunge ogni anno una
spesa fuori bilancio pari all’1 %- 2% del Pil fino al 2027.
Lo consideriamo un fattore di rischio, poiché il livello del debito in Italia è già molto elevato —intorno al 134% —anche se l’aumento sta rallentando, segnalando un progressivo riequilibrio”.
Insomma, l’impatto c’è, ma sta diminuendo ed è ritenuto ampiamente gestibile.
Questo perché l’Italia è stata in grado di generare una crescita che ha attutito gli effetti negativi della doppia crisi del 2020-2022: “Le risposte del governo durante la pandemia e la crisi energetica hanno contribuito a preservare la capacità occupazionale”.
Finchè è stato utile dal punto di vista politico, anche il governo del tempo ha evidenziato l’impatto che queste misure avevano sul denominatore della crescita.
Mario Draghi, quando prorogò il Superbonus per il 2022, dichiarò che “certamente sono stati incentivi che hanno avuto un ruolo molto positivo nello stimolare la ripresa del settore delle costruzioni”.
Anche l’attuale presidente del Consiglio ha più volte definito la misura “meritoria ”. È indubbio che si sia trattato di uno dei più efficaci strumenti anticiclici adottati negli ultimi decenni. Un volano per
l’economia che, seppur costoso, con difetti progettuali e bersaglio di truffe —specie dove i controlli erano più deboli, come nel bonus facciate —non ha impedito all’esecutivo in carica di pianificare nuovi interventi ambiziosi: dal taglio del cuneo fiscale all’aumento delle spese militari.
A dimostrazione che, al netto della propaganda, i conti pubblici reggono meglio quando si tutela la crescita, piuttosto che inseguire un saldo di bilancio fine a sé stesso.
Da ilFattoQuotidiano
