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Comitato 3 Ottobre: A dieci anni dal peggior naufragio di migranti nel Mediterraneo, ancora non abbiamo i nomi, la nostra proposta

Last updated: 20/04/2025 9:17
By Redazione 130 Views 6 Min Read
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Non si tratta solo di scienza forense e giurisprudenza: è una questione di giustizia, di rispetto dei diritti umani e di solidarietà

Dieci anni fa, nel tragico naufragio avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 al largo delle coste libiche, persero la vita oltre 1.100 persone. Una delle più gravi tragedie del Mediterraneo, che ha scosso l’Europa e il mondo intero, lasciando dietro di sé un relitto pieno di storie spezzate, famiglie distrutte e sogni infranti.

A distanza di un decennio, la memoria di quel disastro dovrebbe imporre una riflessione collettiva e un’azione concreta: non è possibile che quelle vittime, tutte quelle dei naufragi, rimangano solo numeri. È un imperativo morale, oltre che un obbligo giuridico, identificare le persone migranti morte in mare e restituire loro un nome, una dignità, una storia. Ogni essere umano ha diritto ad essere riconosciuto, anche dopo la morte.

Nella sezione “Sicilia” del registro dei cadaveri non identificati custodito dal Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, si ripetono migliaia di volte sigle sterili come KR70M6 o frasi come “Etnia africana. Deceduto causa fenomeno migratorio”. Alla voce “reperti rinvenuti”, oggetti che raccontano il passato e le speranze future di chi abitava quei corpi: “collana di metallo con ciondolo a forma di due cuori“, “portafogli in tessuto contenente diverse foto”, “libro di preghiere”, “scheda Sim”, “banconota da 100 dollari americani”.

Dopo dieci anni e innumerevoli altri naufragi, la gestione e l’identificazione delle salme recuperate nel Mediterraneo è ancora vittima di un approccio “caso per caso” ed emergenziale. Il nostro presidente Tareke Bhrane spiega che “siamo ancora fermi al 3 ottobre 2013, al naufragio di Lampedusa. Non c’è una norma che disciplini la raccolta dei dati, non c’è un database unico, non ci sono indicazioni chiare e uniformi che dicano alle Questure come comportarsi, contrariamente a quanto avviene, per esempio, nel caso di un corpo trovato per strada”.

Nel caso di ritrovamento di un cadavere non identificato in circostanze non legate all’immigrazione, i medici legali incaricati dall’autorità giudiziaria esaminano la salma e compilano una scheda post mortem con informazioni dettagliate sui tratti somatici, gli indumenti ed eventuali segni particolari. Questa viene poi caricata sul “Registro nazionale dei cadaveri non identificati”, consultabile pubblicamente. Allo stesso tempo, viene prelevato un campione del Dna, che confluisce in una banca dati distinta. Questo però per le persone migranti morte non avviene, malgrado i numerosi strumenti di soft law susseguitisi nel tempo e il fatto che ciascuno Stato (come evidenziato anche dal Consiglio d’Europa) abbia al suo interno una legislazione nazionale che prevede regole procedurali per una corretta identificazione dei corpi rinvenuti e per la ricerca degli scomparsi. Si assiste invece ancora oggi ad una diffusa inosservanza delle regole esistenti e dei principi cristallizzati nelle carte internazionali (e giurisprudenza) in tutti quei casi in cui le morti o le scomparse avvengono nell’ambito delle rotte migratorie.

Proprio per questo motivo il 10 aprile 2025 a Bruxelles al Parlamento europeo noi del Comitato 3 ottobre abbiamo lanciato una proposta di legge insieme ad Asgi e Labanof che prevede l’adozione di misure concrete e strutturate, tra cui:
– l’armonizzazione delle procedure nazionali per la gestione delle persone scomparse e dei cadaveri non identificati;
– la creazione di un database europeo per incrociare dati post-mortem e ante-mortem;
– l’istituzione di un organismo centrale europeo incaricato di coordinare le attività di identificazione;
– il supporto diretto alle famiglie, attraverso centri dedicati e procedure agevolate;
– la garanzia di sepolture dignitose e tracciabili.

“Pensiamo – prosegue Bhrane – che questa proposta rappresenti da un lato un punto di approdo di un percorso sia di sensibilizzazione che di denuncia che perdura da anni da parte di diversi attori della società civile e, dall’altro, un punto di partenza per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, in special modo per l’adozione da parte dell’Ue di specifici regolamenti e di procedure uniformi dirette a garantire il diritto all’identificazione di tutti i cadaveri senza identità, in qualsiasi contesto. Questa è la principale delle sfide future, cui chiaramente dovrà seguire l’attuazione da parte di ogni Stato membro ed il conseguente monitoraggio da parte di tutti gli attori coinvolti”.

Non si tratta solo di scienza forense e giurisprudenza: è una questione di giustizia, di rispetto dei diritti umani e di solidarietà verso le famiglie che ancora attendono notizie dei propri cari. Il Mediterraneo non può essere una fossa comune. Restituire identità ai morti è un modo per restituire umanità a tutti noi.

Il Comitato 3 ottobre è un’organizzazione senza scopo di lucro cha ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’inclusione e dell’accoglienza attraverso il dialogo con cittadinə, studenti e Istituzioni.

Nato all’indomani del naufragio del 3 ottobre 2013 al largo delle coste di Lampedusa, in cui hanno perso la vita 368 persone migranti, il Comitato ha individuato nel 3 ottobre una data simbolica, non soltanto per commemorare le vittime di quel naufragio, ma per ricordare le migliaia di persone che regolarmente muoiono nel Mar Mediterraneo o restano bloccate ai confini orientali d’Europa.

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