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“Con il limite dei 45 giorni addio alla caccia ai latitanti”. L’allarme di tre magistrati romani

Last updated: 24/05/2025 14:07
By Redazione 130 Views 5 Min Read
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Intercettazioni. “La legge è scritta male, così non avremmo mai preso Messina Denaro”

(di Liana Milella – ilfattoquotidiano.it)

“Anche nel caso di Matteo Messina Denaro, dopo 45 giorni, le intercettazioni avrebbero dovuto essere interrotte”.

Incredibile, ma vero. E a dirlo, con la legge Zanettin sottomano, sono tre big degli uffici giudiziari romani.

Nell’ordine, il vicecapo dei giudici per le indagini preliminari Valerio Savio che lancia l’allarme, il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini che lo sottoscrive, il pm Mario Palazzi che organizza a Piazzale Clodio un incontro per la formazione dei giovani magistrati.

Con loro c’è il giurista dell’Università Statale di Milano Gian Luigi Gatta che aggiunge il timbro della dottrina all’incredibile effetto della legge meloniana sullo stop forzato agli ascolti anche se di mezzo c’è la caccia al più pericoloso dei latitanti.

Dopo lo smacco sui reati contro la Pubblica amministrazione, intercettabili lo stesso pur se la maggioranza era convinto di no, come ha scritto il Fatto il 4 maggio svelando la circolare del procuratore di Messina Antonio D’Amato, eccoci a uno svarione giuridico dagli effetti davvero incredibili e ovviamente assai gravi. Che Savio, codici alla mano, racconta così: “Per come è scritta, la norma lascia intatto l’articolo 295 del codice di procedura penale sulla caccia ai latitanti che dev’essere fatta nei limiti e nei tempi stabiliti dall’articolo 267 che disciplina il via libera del gip all’ascolto. Proprio lì ecco la nuova norma dei 45 giorni. Ma il legislatore non s’è accorto che con quel rimando di fatto ha scritto che le intercettazioni per cercare Messina Denaro dopo 45 dobbiamo chiuderle”.

E Savio conclude: “Io e Cascini siamo d’accordo, la norma scritta così è impugnabile davanti alla Consulta per irragionevolezza, ma la si può anche interpretare in modo costituzionalmente orientato dicendo che quel rinvio previsto dall’articolo 295 al 267 si rifaceva al vecchio testo. Altrimenti io gip, giunto al 45° giorno, o nego la proroga, o mi rivolgo alla Consulta per manifesta violazioni delle norme internazionali sulla cattura dei latitanti”.

Cascini la pensa come Savio. Elenca puntigliosamente le norme: “Il 295 del codice di procedura penale prevede la possibilità di fare intercettazioni per cercare i latitanti, nei limiti e con le modalità dagli articoli 266 e 267. Solo ascolti telefonici, perché quelli ambientali sono possibili solo per i latitanti per reati di mafia. Quindi le nuove disposizioni sono applicabili, sempre e senza deroghe, a tutte le attività di ricerca dei latitanti”.

E qui Cascini porta l’esempio dell’ultimo grande latitante di mafia. “Anche nel caso di Messina Denaro dopo 45 giorni le intercettazioni avrebbero dovuto essere interrotte”.

E Mario Palazzi invita “a riflettere sul grande disordine normativo provocato da modifiche non sistematiche che creano, come in questo caso, effetti paradossali. Nessun limite per le molestie col telefono, ma limiti più stringenti per lo stalking e la violenza sessuale e addirittura per un omicidio al di fuori di un contesto mafioso. Fino all’effetto assurdo di limitare a soli 45 giorni la ricerca di un latitante se non emergono elementi nuovi per andare avanti”.

Inevitabile fare la parte dell’avvocato del diavolo, visto che tutti gli esponenti della maggioranza, a partire dall’avvocato e senatore forzista Pierantonio Zanettin, hanno sempre detto che “la regola dei 45 giorni non vale per la mafia”. Chiediamo a Gatta se la faccenda dei latitanti è messa proprio così.

E lui non ha dubbi e spiega la ragione del manifesto errore: “Partiamo da qui: un conto sono le intercettazioni per accertare un reato. Se si tratta di mafie non opera il limite dei 45 giorni. Cosa diversa sono gli ascolti per cercare un latitante, cioè una persona condannata oppure oggetto di una misura cautelare, disposta sulla base di precedenti intercettazioni. Che, pur potendo a certe condizioni essere poi usate anche a fini probatori, sono disposte non come mezzo di ricerca della prova, che magari c’è già e ha consentito la condanna definitiva o la custodia cautelare, ma come mezzo per trovare il fuggitivo”.

Una cosa è certa, la legge è sbagliata. O i magistrati la portano alla Consulta o la interpretano sanando l’errore, ma di certo non possono interrompere la caccia a un latitante perché il governo, con una legge fake, lo impone.

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