Nell’antica Grecia, lo spazio della comunità era il perimetro dove si prendevano decisioni, per Plutarco “l’attività politica deve possedere un solido e robusto fondamento ed essere una scelta giudiziosa e razionale, non un impulso prodotto da opinioni vacue o rivalità o mancanza di altre attività……” .
La nobile arte della politica, un campo minato da buone intenzioni, pavimentato di promesse non mantenute e illuminato dai neon intermittenti dell’opportunismo.
Ma noi, inguaribili sognatori, continuiamo a crederci. O almeno, fingiamo di crederci.
Sentiamo spesso parlare di “scendere in campo” come se fosse una chiamata divina, un atto di puro altruismo.
Ma diciamocelo chiaramente: se non si viene spinti da un pizzico di sano ego, difficilmente ci si imbarcherà in questa avventura.
Certo, la motivazione ufficiale è sempre “l’amore” o“il bene della città” , mantra che suonano bene nei comizi ma che spesso si scontrano con la dura realtà dei compromessi, delle correnti di partito e dei manovratori occulti.
I manovratori, quelle figure mitologiche che tirano le fila nell’ombra, sussurrando ordini all’orecchio dei politici come fossero novelli burattini.
Fare politica senza manovratori alle spalle ? Un’utopia quasi al pari di vincere la lotteria.
Sembra che ogni aspirante politico debba prima passare il rito di iniziazione, l’inchino deferente al potente di turno, la promessa di obbedienza cieca, la rinuncia, temporanea, si spera, a un briciolo della propria autonomia.
E poi c’è il “mettersi al servizio dei cittadini”.
Espressione così carica di idealismo da far venire la pelle d’oca ogni volta che la si sente pronunciare.
Intendiamoci, ci sarà pure qualcuno animato da sincera dedizione, ma diciamocelo sottovoce, quanti vedono la politica come un trampolino di lancio, un modo per farsi conoscere, per sistemare qualche amico o parente, o semplicemente per provare l’ebbrezza del potere.
Un po’ di onestà intellettuale non ha mai ucciso nessuno, politicamente parlando, s’intende.
È affascinante notare come spesso le persone più capaci, quelle con idee fresche e sane, come anche una visione autentica per la propria città, restino alla finestra.
Non perché manchi loro la stoffa, anzi. Il problema è che non trovano un “habitat” politico accogliente.
Provate ad immaginare la scena nella quale un individuo con la schiena dritta, la mente libera da condizionamenti e la ferma intenzione di fare le cose per bene che si presenta alla porta di un partito/movimento.
Le prime reazioni più probabile sarebbero. Sguardi interrogativi, sussurri di disapprovazione e un educato, ma fermo, “grazie, ti faremo sapere”, pensando di non volere di pensatori liberi… a noi servono “yes-men”.
Perché, diciamocelo, l’autonomia non è esattamente la virtù più ricercata nei palazzi della politica.
Meglio un soldatino obbediente che un ufficiale con idee proprie.
E così, chi non vuole sentirsi privato della propria libertà, chi non vuole svendere la propria coscienza e dignità in cambio di una poltrona, preferisce starsene alla larga.
Una scelta saggia, forse un po’ amara, ma che preserva almeno l’integrità e la morale personale.
In fondo, scendere in campo è una decisione personale, un atto volontario.
Nessuno punta una pistola alla tempia, metaforicamente parlando.
Se lo si fa, si dovrebbe fare con la consapevolezza che il percorso sarà tutt’altro che una passeggiata nel parco, raccogliendo fiori di campo.
Tra ideali nobili e meschine bassezze, tra la sincera volontà di fare del bene e le inevitabili dinamiche di potere, la politica resta un gioco complesso, spesso frustrante, ma innegabilmente affascinante nella sua tragicomica realtà, perchè piaccia o no coinvolge e travolge, alcune volte anche sconvolge, le vita di tutti.
E chi resta fuori, beh, forse non è uno sconfitto, ma semplicemente qualcuno che ha preferito preservare la propria libertà di pensiero, un lusso sempre più raro in questo strano circo chiamato politica. Ad Maiora
