Più morti che nati e sempre meno figli: le stime dell’Istat e l’allarme sullo squilibrio tra vecchie e nuove generazioni, con un impatto rilevante sul sistema previdenziale.
In pensione a 70 anni?
Uno scenario realistico, secondo l’Istituto nazionale di statistica (Istat), destinato a concretizzarsi tra non molti anni.
“Le ipotesi sulle prospettive della speranza di vita a 65 anni contemplate nello scenario mediano presagiscono una crescita importante, a legislazione vigente, dell’età al pensionamento”, ha spiegato Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istat, in audizione davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato sul Piano strutturale di bilancio (Psb), lo strumento che fissa i livelli di spesa pubblica e la riduzione del deficit per l’Italia.
Rispetto agli attuali 67 anni per la pensione di vecchiaia, “si passerebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2027, a 67 anni e 6 mesi dal 2029 e a 67 anni e 9 mesi a decorrere dal 2031, per arrivare a 69 anni e 6 mesi dal 2051”, ha chiarito Chelli.
La crisi demografica e l’impatto sulle pensio
È uno degli effetti tangibili della crisi demografica in atto nel nostro Paese.
Anche in uno scenario di natalità più favorevole, ci sarà comunque “un’amplificazione dello squilibrio tra nuove e vecchie generazioni”.
E questo avrà “un impatto importante” sulle politiche di protezione sociale, ha specificato l’Istat.
Questo squilibrio tra generazioni, ha argomentato il presidente dell’Istituto, “appare guidato più dall’attuale articolazione per età della popolazione che dai cambiamenti demografici ipotizzati (evoluzione di fecondità, mortalità e dinamiche migratorie)”, in una proporzione che è “all’incirca di due terzi e un terzo rispettivamente”
Secondo le stime dell’Istat, nel 2031 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 27,7% del totale, secondo lo scenario mediano (dal 24,4% del 2023 e fino al 34,5% nel 2050). Alla luce di ciò, “l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà quindi importante, dovendo fronteggiare i fabbisogni di una quota crescente (e più longeva) di anziani”.
Più morti che nati e sempre meno figli. La fotografia scattata dell’Istat per l’anno in corso è cupa, impietosa. “Lo scenario demografico che emerge dai dati provvisori relativi ai primi sette mesi del 2024 non presenta inversioni di tendenza rispetto al recente passato e vede anzi amplificati gli effetti del processo demografico in corso”, specifica l’Istituto di statistica. Attualmente, le nascite sono state circa 210mila, più di 4mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Scendono anche i decessi: sono 372mila nei primi sette mesi dell’anno in corso, contro i 389mila dell’anno precedente (-17 mila)
Tra l’invecchiamento della popolazione da una parte e la bassa natalità che si riscontra negli ultimi decenni dall’altra, “in futuro si prevedono famiglie sempre più piccole e caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti scenderà dalle attuali 2,25 persone per famiglia a 2,18 nel 2031” sottolinea il presidente dell’Istat. Nei prossimi sette anni si prevede un aumento di oltre 500mila famiglie: da 26,1 milioni nel 2024 a 26,6 milioni nel 2031. Si tratta di un’evoluzione che dipende in gran parte dalle persone che vivono sole e che passeranno da circa 9,4 milioni nel 2024 a 9,9 milioni nel 2031.
L’Istat rimarca che l’aspetto probabilmente più critico, tuttavia, sarà “il rapporto decrescente nel tempo tra gli individui in età attiva (15-64 anni) e quelli in età non attiva (0-14 e 65 anni e più)”. Già nel 2031, infatti, la popolazione di 15-64 anni potrebbe scendere al 61,5% del totale (54,4% nel 2050), “registrando una flessione di due punti percentuali (più di nove nel 2050), evidenziando un quadro evolutivo con importanti ricadute sul mercato del lavoro e sul sistema di welfare”.
Come se non bastassero i recenti allarmi sui conti pubblici e la stabilità del sistema previdenziale, in un quadro di scenario simile, tra pochi anni la pensione sarà un miraggio, o quasi.