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La Sicilia merita di più. Di Marinella Andaloro

Last updated: 02/12/2025 15:50
By Redazione 173 Views 8 Min Read
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In Sicilia non si registrano mere disfunzioni amministrative: si assiste a una progressiva e sistemica dissoluzione dello Stato nei suoi gangli essenziali, resa ancor più evidente dagli eventi recenti.

Da decenni l’Isola è succube di una degenerazione strutturale che nessuna compagine politica ha avuto la tempra di affrontare con l’indispensabile radicalità.

Sanità, gestione dei rifiuti, approvvigionamento idrico, mobilità territoriale, infrastrutture viarie: ciò che altrove costituisce l’ABC dello Stato moderno è divenuto terreno di conquista per consorterie clientelari, sodalizi d’interesse e apparati burocratici che hanno abdicato da tempo ad ogni riferimento all’interesse pubblico.

La realtà, per quanto aspra e corroborata da evidenze, è questa: in vaste porzioni della Regione la legalità amministrativa è stata spogliata e frantumata da un sistema che prospera nell’inerzia e si perpetua attraverso interdipendenze patologiche.

Un meccanismo che ha tradito la missione più sacra dello Stato di diritto: garantire l’effettività dei diritti fondamentali, l’equità nelle opportunità e la parità di trattamento davanti all’amministrazione.

In tale contesto, la candidatura di chi smaschera connivenze, opacità, omissioni e collusioni non è un episodio politico contingente: rappresenta una discontinuità storica.

È l’irruzione della verità in un panorama dominato per decenni da mezze verità, da silenzi complici e da una acquiescenza colpevole che ha devastato il tessuto civile con una violenza superiore alla stessa criminalità organizzata.

Chi sfida apertamente codesti poteri non sta semplicemente prospettando un’alternativa di governo: tenta l’estirpazione di un cancro istituzionale che divora risorse pubbliche, drena speranze collettive e calpesta la dignità di un popolo intero.

La sua elezione costituirebbe, di fatto, un commissariamento integrale della Regione, non calato dall’alto, ma generato dal basso, dalla volontà popolare di insorgere contro un apparato ormai fallimentare.

Poiché la Sicilia non versa in semplici difficoltà congiunturali: è stata sistematicamente umiliata.

Le sue arterie viarie somigliano più a mulattiere che a infrastrutture moderne; i rattoppamenti per fare propaganda sono inutili quando queste si disgregano alle prime piogge, diventano insidie quotidiane per i cittadini.

I cantieri eterni sono usati come scenografia di propaganda. Le infrastrutture cedono, i territori si isolano, vengono tagliati fuori. Sono simboli eloquenti del disinteresse con cui il territorio è amministrato.

La sanità regionale arranca in un caos gestionale, fra sprechi, disorganizzazione e zone grigie ove il discrimine tra inefficienza colposa e condotta dolosa si fa impercettibile.

La gestione degli appalti e l’allocazione delle risorse, PNRR compreso, procedono nell’opacità più totale: opportunità di sviluppo fagocitate in un circuito che trasforma ogni progetto in occasione di appropriazione privatistica.

L’approvvigionamento idrico è amministrato come merce di scambio politico, non quale diritto inviolabile della persona.

La gestione dei rifiuti costituisce dimostrazione plastica dell’incapacità di pianificare, vigilare, amministrare secondo canoni di legalità.

Il sistema di mobilità è un quotidiano oltraggio allo sviluppo e alla dignità dei cittadini.

Ma è nei piccoli comuni che la degenerazione assume le forme più corrosive.

Qui, l’assenza totale di vigilanza e il collasso dei controlli hanno prodotto territori che non sono più semplicemente amministrati male, ma sottratti alla Repubblica, ridotti a domini para-feudali nei quali lo Stato è stato estromesso con metodo scientifico.

In queste zone, la linea di demarcazione fra istituzione e criminalità è stata dissolta da un’osmosi costante e ininterrotta: la criminalità non si limita più a infiltrarsi, si insedia, occupa ruoli, orienta procedure, determina appalti, gestisce risorse pubbliche.

E lo fa con la sfacciata impunità di chi opera in un deserto normativo, in una “terra di nessuno” consegnata alla prevaricazione sistemica.

In queste enclaves, ieri rifugi per latitanti di ogni rango, oggi rifugi, ben più pericolosi, per coloro che, dall’interno delle istituzioni, esercitano potere con modalità mafiose, sfruttando l’autorità pubblica come scudo e arma allo stesso tempo.

E mentre questa disfatta procede, la Sicilia ha dissipato la sua risorsa più preziosa: le giovani generazioni.

Lo testimoniano i numeri delle partenze, i record di emigrazione, le università svuotate, i talenti che altrove brillano e qui non trovano spazio.

Un’intera coorte demografica costretta all’esodo, espulsa non per vocazione ma per necessità esistenziale.

La Regione non li trattiene, non ne valorizza le competenze, non li considera come leva strategica di sviluppo: li espelle sistematicamente. E non soltanto, è incapace di attrarre talenti: li respinge.

Mentre il mondo corre, l’Isola resta immobile in un medioevo amministrativo.

Per questo non sono più possibili mediazioni né compromessi.

Occorre un intervento radicale. E chi ha già rischiato la propria incolumità pur di denunciare ciò che altri occultavano incarna la necessità di squarciare il velo dell’omertà istituzionale e restituire diritti, dignità e verità.

Ma sia chiaro: nessun uomo solo, pur animato dal più nobile coraggio, può rifondare una terra devastata da decenni di abusi e complicità.

Serve un’intera generazione di servitori dello Stato con la stessa tempra morale, la stessa intransigenza, la stessa determinazione.

Non basta un esempio: ne occorrono cento.

Non basta un uomo che denuncia: occorre una squadra di donne e uomini che incarnino la verità come metodo e la legalità come destino.

La Sicilia non ha bisogno di amministratori ordinari: ha bisogno di demolitori del sistema e di architetti della rinascita. Di una classe dirigente capace di ricostruire tutto ab imis fundamentis, con disciplina, rigore e coraggio.

Solo un fronte compatto, con un’alleanza di integrità, potrà restituire alla Sicilia ciò che le è stato negato: lo Stato, i diritti, la dignità.

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