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L’illusione dei 27 miliardi e la favola del Sud locomotiva

Last updated: 25/10/2025 6:33
By Redazione 103 Views 7 Min Read
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Meloni celebra una ZES da 27 miliardi e un Sud “locomotiva”, ma i dati ufficiali raccontano spesa limitata e divari ancora aperti

Contents
I conti della ZES e la realtà della spesaSud: crescita congiunturale, divari strutturaliSi precisa: la pubblicazione di un articolo e/o di un’intervista scritta o video in tutte le sezioni del giornale non significa necessariamente la condivisione parziale o integrale dei contenuti in esso espressi. Gli elaborati possono rappresentare pareri, interpretazioni e ricostruzioni storiche anche soggettive. Pertanto, le responsabilità delle dichiarazioni sono dell’autore e/o dell’intervistato che ci ha fornito il contenuto. L’intento della testata è quello di fare informazione a 360 gradi e di divulgare notizie di interesse pubblico. Naturalmente, sull’argomento trattato, caltanissetta401.it è a disposizione degli interessati e a pubblicare loro i comunicati o/e le repliche che ci invieranno. Infine, invitiamo i lettori ad approfondire sempre gli argomenti trattati, a consultare più fonti e lasciamo a ciascuno di loro la libertà d’interpretazione.                                                 

«La ZES unica ha generato un giro d’affari di quasi 27 miliardi». Lo scrive la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel messaggio inviato al Forum organizzato a Napoli da Il Mattino sul ruolo dell’Italia e del Mediterraneo. È il biglietto da visita della narrazione ufficiale: il Mezzogiorno come nuova frontiera della crescita, la ZES come moltiplicatore di ricchezza, l’occupazione che sfonda i record, gli Accordi di coesione che “attivano” miliardi. Il problema è che i numeri veri sono meno entusiasti e più testardi.

I conti della ZES e la realtà della spesa

La cifra dei “27 miliardi” non sta in un consuntivo pubblico: è una stima di impatto complessivo (diretto-indiretto-indotto) confezionata da consulenze e rilanciata da Palazzo Chigi. Nei conti, quelli che si pagano, il 2024 registra 2,551 miliardi di credito d’imposta riconosciuto per 6.885 domande. Per il 2025 le prenotazioni superano i 22 miliardi, ma il plafond effettivo è attorno ai 2,2-2,3 miliardi: significa overbooking, graduatorie, tagli. La Corte dei Conti, nel giudizio sul Piano strategico approvato solo a inizio 2025, parla di «potenzialità da consolidare» e di governance da irrobustire. È la distanza tra lo slogan del “giro d’affari” e la cassa disponibile.

C’è poi l’estensione dell’incentivo a Marche e Umbria, politicamente spendibile, economicamente ambigua: se le risorse non crescono in proporzione, l’intensità dell’aiuto nel perimetro storico del Mezzogiorno si diluisce. Infine, gli “oltre 45 miliardi” rivendicati sugli Accordi di coesione sono impegni amministrativi del Fondo sviluppo e coesione 2021-2027 (78,1 miliardi complessivi), non cantieri. I report MEF di aprile 2025 classificano molte linee “in fase iniziale”: significa che la spesa vera è ancora da costruire.

Sud: crescita congiunturale, divari strutturali

Meloni scrive che il Sud «non è più fanalino di coda ma locomotiva». È successo nel 2024, con un Pil meridionale leggermente sopra la media nazionale (+0,9% contro +0,7%) grazie alla spinta del PNRR. Ma le stime 2025 ribaltano il cartello: Sud più lento del Centro-Nord. La Banca d’Italia (QEF 951/2025) lo riassume con freddezza: produttività bassa, capitale per addetto insufficiente, infrastrutture materiali e digitali incomplete, credito più caro e selettivo. Senza una correzione di struttura, la convergenza non parte.

Sull’occupazione il record c’è: nel secondo trimestre 2025 il tasso 15-64 del Mezzogiorno supera per la prima volta il 50%. Manca però il resto della frase: la media italiana è al 62,6%, il divario resta di oltre dodici punti. Tra i 25-34 anni il tasso è 75,6% in Italia e 63,1% nel Sud; per le donne coetanee si resta poco sopra la metà. L’ISTAT certifica che nel 2024 la povertà assoluta colpisce il 10,5% delle famiglie meridionali (Nord 7,9%). E il drenaggio di capitale umano continua: in vent’anni più di 500 mila laureati hanno lasciato il Sud per il Centro-Nord o l’estero, con un saldo negativo che svuota competenze e futuro.

La qualità dello sviluppo è il punto cieco della propaganda. Crescere di Pil senza recuperare salari, produttività e servizi significa accumulare fragilità. Se il lavoro aggiuntivo è a bassa paga e bassa produttività, i divari sociali si incrostano. Se i servizi pubblici restano lenti, la competitività d’impresa evapora nei costi di contesto: giustizia, sanità, scuola, trasporti, logistica portuale. È qui che si misura l’effetto ZES nel tempo: non sul comunicato, ma sul salario netto, sull’investimento privato, sulla permanenza dei giovani qualificati.

Chi entra nelle pieghe dei numeri vede un’altra storia. La ZES unica consente semplificazioni e un credito d’imposta utile a spostare decisioni marginali d’investimento. Però la scala resta modesta rispetto al fabbisogno e alla domanda effettiva; l’allargamento geografico senza risorse aggiuntive fa aritmetica, non politica industriale. Gli Accordi di coesione “attivano” perché impegnano: fino a quando non diventano progetti esecutivi, cronoprogrammi, avanzamenti misurati, restano promesse con scadenza.

Il Mezzogiorno cresce quando lo Stato spinge e decelera quando la spinta finisce. Le stime Svimez e i quaderni di Bankitalia non sono editoriali dell’opposizione: sono diagnosi ripetute. Se Napoli ospita la celebrazione del “Sud locomotiva”, a Napoli bisognerebbe anche dire che le locomotive si valutano a fine corsa, non alla partenza. La differenza tra una stima e un risultato è tutta nei binari: spesa che diventa cantiere, cantiere che diventa produttività, produttività che diventa salario. Senza questa catena, i 27 miliardi restano un numero in cerca d’autore. E al Sud viene chiesto, ancora una volta, di credere a una convergenza che nei conti, per ora, non c’è.

Fonte lanotiziagiornale.it di Giulio Cavalli

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