Ennesimo proverbio siciliano tratto da una delle tante pagine Facebook
Tra i tanti detti trovati, spicca un vero e proprio capolavoro: “Lu monacu sciala e lu cummentu paga”, che significa “il monaco spende e il convento paga”.
Una frase che è un sospiro rassegnato, può riassumere anni di osservazioni sulla natura umana e, diciamocelo, politica.
Un monaco priore ordina l’ennesima guantiera di cannoli, con pistacchio, ovviamente, mentre i poveri monachelli si grattano la testa per far quadrare i conti ed arrivare a fine mese.
Ecco, questo proverbio non è solo un aneddoto, è un vero e proprio manifesto per tutti coloro che hanno abbracciato la filosofia del “tanto paga pantalone”.
Chi di noi non ha mai incontrato dei “monaci” nella vita?
Questo tipo di persone che, armati di carta di credito aziendale o fondi dell’ente, trasformano una cena di lavoro in un banchetto nuziale, o che usano il telefono dell’ufficio per chiamare la zia in America per dirgli come è buono il nostro rollò.
Il tutto, s’intende, con l’assoluta e serena convinzione che il costo finale non sarà certo un suo problema, anzi, spesso i “monaci” in questione si sentono quasi benefattori, fanno un favore alla zia emigrata 50 anni fa.
Ma è in politica che i “monaci” raggiungono l’apice della loro magnificenza.
Qui, il convento non è un piccolo monastero di clausura, ma l’intera località, e i “monaci” sono una folta schiera.
Parliamo di coloro che, a suon di decreti e delibere, trasformano fondi pubblici in coppe di champagne, affidamenti, diretti, o consulenze e incarichi ben pagati, arrogandosi il diritto di decidere a chi, come e quando affidarli.
E il bello è che, quando si tratta di rendicontare, i “monaci politici” sono spesso più sfuggente di una saponetta tra le mani. “Ma erano investimenti, a vantaggio di tutti” “Indispensabile per il bene comune!” mentre il “convento”, cioè i contribuenti, si ritrova a pagare il conto di una festa che si poteva fare anche contenendo meglio i costi, proprio in rispetto a chi affronta giornalmente difficoltà di mandare avanti la famiglia e a riempire il carrello della spesa.
Questo proverbio, nella sua semplicità, mette in luce un comportamento che va oltre.
È una vera e propria filosofia di vita per chi ha sviluppato un’allergia acuta al concetto di “conseguenza”.
Non è solo questione di spreco, in fondo sono utili, ma vi è una discordanza tra l’azione e l’impatto.
Il valore del denaro o delle risorse diventa una mera astrazione, un numero su un bilancio che qualcun altro dovrà far tornare, e che torna sempre. E la negligenza si trasforma in un atteggiamento spregiudicato, quasi un diritto acquisito.
In fondo, i “monaci scialacquatori” ci ricordano che, in un mondo ideale, dovremmo tutti imparare a gestire le risorse come se fossero nostre.
Ma in un mondo reale c’è sempre un convento pronto a pagare.
E i poveri contribuenti? Non possono fare altro che aspettare il giorno in cui i “monaci” impareranno a preparare un bilancio più equo, magari bilanciando meglio l’utile al dilettevole ed avendo un occhio di riguardo a chi economicamente è più svantaggiato, che arriva anche, nonostante faccia grandi sacrifici, a non curarsi perchè non ha soldi necessari. Ad Maiora
Foto da una delle tante pagine Facebook
