L’attacco di Israele all’Iran “non è un’operazione militare, ma una vera guerra combattuta a 1.500 chilometri da casa” e che, secondo il Wall Street Journal, durerà almeno 14 giorni.
Una guerra della quale, si potrebbe affermare in maniera superficiale, lo Stato ebraico non aveva affatto bisogno, dato lo sforzo militare nella Striscia di Gaza, la traballante tregua in Libano e i missili lanciati dagli Houthi yemeniti.
Ma la prospettiva di Benjamin Netanyahu guarda a un obiettivo che, forse, ai suoi occhi non è poi così distante: lo sgretolamento definitivo di quell’Asse della resistenza, quella Mezzaluna sciita che da 45 anni rappresenta il suo principale antagonista in un Medio Oriente che, con la caduta degli ayatollah, verrebbe totalmente ridisegnato.
L’inizio di questa stagione ha una data precisa: 8 ottobre 2023.
Il giorno dopo l’attacco di Hamas al cuore di Israele, lo Stato ebraico ha il pretesto che cercava per mettere in atto piani che, non è un segreto, erano allo studio da anni. Così, la guerra nella Striscia in nome di quel “diritto all’autodifesa” superato ormai decine di migliaia di morti fa si è presto trasformata in uno scontro con tutto quel blocco che rappresenta per Tel Aviv una minaccia esistenziale e che non ha perso tempo a schierarsi al fianco di Hamas nella “guerra di resistenza”.

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