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Reddito di povertà in Sicilia, in novantamila resteranno a bocca asciutta ma c’è uno spiraglio

Last updated: 15/05/2025 10:54
By Redazione 116 Views 5 Min Read
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C’è lo spiraglio per poter recuperare altre 1.400 domande che avevano raggiunto il punteggio minimo del bando

Contents
I numeriUn flop annunciato, secondo l’opposizione all’ArsChi può accedere al “reddito di povertà”Il rischio è che gli esclusi perdano ulteriormente fiducia nelle istituzioni

Un aiuto concreto alle famiglie più fragili della Sicilia. O almeno, questa era l’intenzione. Alla prova dei numeri, la misura da 30 milioni di euro messa in campo dalla Regione si è rivelata insufficiente a coprire il mare di richieste arrivate da ogni angolo dell’Isola. È stata pubblicata la graduatoria provvisoria del “reddito di povertà”, un contributo una tantum fino a 5.000 euro, destinato a chi vive in condizione di forte disagio economico e sociale.

I numeri

Dei 97.408 cittadini che avevano presentato domanda e che risultano formalmente ammessi al bando, soltanto 6.893 riceveranno davvero il contributo. Gli altri, oltre 90 mila famiglie, rimarranno a mani vuote. Un dato che stride con le parole del presidente della Regione, Renato Schifani, che ha parlato di “strumento efficace e puntuale al servizio della Sicilia” e di “determinazione nel sostenere concretamente le famiglie in difficoltà”. Nella realtà,  meno di una domanda su quattordici riceverà l’aiuto.

Un flop annunciato, secondo l’opposizione all’Ars

“Lo avevamo detto fin dall’inizio: quella che veniva presentata come una misura epocale contro la povertà si è rivelata l’ennesima operazione di facciata del Governo Schifani. I numeri parlano chiaro: solo 30 milioni stanziati, a fronte di un bisogno ben più ampio. Risultato? Appena 7 mila famiglie potranno accedere al cosiddetto ‘reddito di povertà’, su quasi 100.000 domande presentate. Un flop annunciato del Governo Schifani, che bada a esaltare proposte slogan da spot elettorale”. A lanciare l’allarme è il vicepresidente del gruppo parlamentare del Partito democratico all’Assemblea regionale siciliana, Mario Giambona.

“Ci batteremo sin dalla prossima variazione di bilancio per chiedere un rifinanziamento della misura – continua Giambona – con risorse adeguate a sostenere davvero chi vive in condizioni di disagio. Non basta l’annuncio. Servono fondi, metodo, e soprattutto il coinvolgimento degli attori sociali, come Caritas e Conferenza episcopale italiana, che quotidianamente affrontano sul campo l’emergenza povertà”.

Chi può accedere al “reddito di povertà”

Il contributo è stato reso disponibile con un bando pubblicato il 25 febbraio scorso dall’assessorato regionale della Famiglia e delle politiche sociali. A gestire tutto è stata Irfis, la finanziaria regionale, che ha predisposto una piattaforma online su cui presentare domanda entro il 15 aprile. Il fondo, di 30 milioni di euro complessivi, era rivolto a residenti in Sicilia da almeno cinque anni, con un Isee riferito al 2023 inferiore a 5.000 euro.

L’importo previsto dal bando variava in base al punteggio assegnato al nucleo familiare, secondo criteri sia economici sia sociali: fino a 2.500 euro per chi totalizzava almeno 20 punti, 3.500 euro fino a 30 punti, e il massimo, 5.000 euro, per chi superava i 30 punti. Il punteggio veniva calcolato in base al livello di reddito, al numero di componenti familiari, alla presenza di figli minorenni, alla condizione abitativa e a situazioni di disagio.

Il rischio è che gli esclusi perdano ulteriormente fiducia nelle istituzioni

È vero che la macchina burocratica si è mossa con celerità: in meno di un mese dalla chiusura delle domande, la graduatoria è stata pubblicata. Ma il problema resta la capienza economica dello strumento, che non ha retto all’urto di quasi 100 mila richieste. Il “reddito di povertà”, al di là del nome che ne evoca la funzione salvifica, si è trasformato in un test di stress per l’intero sistema delle politiche sociali regionali. La domanda massiccia ha fatto emergere una realtà inquietante: decine di migliaia di famiglie siciliane vivono al di sotto della soglia minima di dignità, e per loro un aiuto una tantum, per quanto utile, non basta.  Il rischio è che il “contributo di solidarietà”, pensato come misura emergenziale, diventi solo una goccia nell’oceano. E che la delusione dei tanti esclusi si trasformi in sfiducia nelle istituzioni.

Fonte QdS.it

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