Volodymyr Zelensky rilancia nel campo del Cremlino la palla dell’organizzazione di un incontro, quello tra lo zar e il presidente ucraino, che al momento non si vede neppure all’orizzonte
«Io non andrò a Mosca, venga Putin a Kiev». Volodymyr Zelensky rilancia nel campo del Cremlino la palla dell’organizzazione di un incontro, quello tra lo zar e il presidente ucraino, che al momento non si vede neppure all’orizzonte. La spinta del vertice del 15 agosto in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, se mai c’è stata, sembra essere rapidamente evaporata. I colloqui di pace sono tornati in una situazione di pieno stallo e, in questo contesto, il piano per le garanzie di sicurezza dei Volenterosi appare come un’anatra zoppa.
Al termine di una settimana di intensi colloqui diplomatici – Zelensky è stato a Copenaghen per incontrare i Paesi Baltici, a Parigi dai Volenterosi e infine a Uzhorod assieme al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e al premier slovacco Robert Fico – il leader di Kiev si è detto soddisfatto del sostegno ribadito dalle cancellerie occidentali.
Di contro, la faglia tra Ue e Russia si è ulteriormente allargata. La sensazione è che solo la ripresa del dialogo tra Trump e Putin possa rimettere in moto i lavori preparatori per una pace che nessuno, in Europa, vede a stretto giro. Nel frattempo la guerra non si ferma. “Dall’inizio di settembre, la Russia ha lanciato più di 1.300 droni d’attacco, quasi 900 bombe d’aereo guidate e fino a 50 missili di vario tipo contro l’Ucraina», ha reso noto Zelensky che, in un’intervista all’emittente americana Abc News ha sottolineato: «Io non posso andare a Mosca quando il mio Paese è sotto attacco, ogni giorno. Non posso andare nella capitale di questo terrorista. Putin lo capisce».
Il presidente ucraino ha quindi rilanciato l’urgenza di porre in campo più sanzioni, rendendole più pervasive. Il lavoro, in questo senso, potrebbe portare novità nei prossimi giorni. Il team della Commissione Ue è atterrato a Washington per i colloqui con la controparte americana su un maggior coordinamento sulle sanzioni. L’obiettivo resta quello di ridurre il più possibile i proventi dell’export energetico per Mosca, colpendo anche i Paesi terzi che acquistano il petrolio russo per poi rivenderlo. Al tempo stesso, spetterà ai vertici Ue – Costa in settimana sarà a Budapest e Bratislava – smussare l’opposizione di Ungheria e Slovacchia sull’import di energia da Mosca.
«Ci vuole una risposta unitaria alla distruzione, al disprezzo per gli sforzi diplomatici. Il presidente Trump ha assolutamente ragione nel dire che sono necessarie restrizioni efficaci al commercio russo di petrolio e gas», ha ribadito Zelensky. La questione ucraina è finita anche sul tavolo di Cernobbio, dove il commissario Ue Valdis Dombrovkis, un veterano dei corridoi di Palazzo Berlaymont, ha messo in chiaro un punto: “Dobbiamo continuare a fornire tutto il supporto possibile all’Ucraina, anche garantendo che il suo fabbisogno finanziario sia coperto nel 2026. Le ambizioni espansionistiche della Russia si estendono oltre l’Ucraina».
Ed è su questa base che Ursula von der Leyen e la sua squadra stanno costruendo la roadmap per la difesa europea da qui al 2030. Il piano sarà presentato al Summit dei 27 a Copenaghen a inizio ottobre e – ha ammonito Dombrovskis – «richiederà investimenti massicci e costanti e una forte cooperazione con i nostri alleati». Gli sforzi europei continuano ad essere oggetto delle provocazioni del Cremlino. Da Vladivostok, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha definito i leader europei al fianco di Kiev come «i sette nani di Trump, ma mutanti». Zakharova ha preso spunto dall’ex ministro degli Esteri austriaco Karin Kneissl, che aveva paragonato gli europei all’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump ai «sette nani». “Ma loro sostenevano Biancaneve, non l’avrebbero mai portata dalla strega che voleva ucciderla. Quindi sono nani, ma di una fiaba diversa”; sono state le parole di Zakharova.
Da La Gazzetta del Sud di Michele Esposito
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