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Caltanissetta 401 > News > Cronaca > “Potevamo salvarli” l’accusa del capitano sulla strage di Cutro
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“Potevamo salvarli” l’accusa del capitano sulla strage di Cutro

Last updated: 27/02/2025 7:00
By Redazione 105 Views 6 Min Read
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Il 5 marzo, a due anni dalla tragedia del mare, la prima udienza sui mancati soccorsi

Due anni dopo, arrestati e condannati a pene severe tutti gli scafisti che portarono il caicco a
sbattere sulla secca di Cutro, è l’ora delle responsabilità istituzionali.
Potevano essere salvate quelle cento e passa vite inghiottite dal mare a poche decine di metri dalla
spiaggia se la navigazione di quell’imbarcazione avvistata il giorno prima da un aereo di Frontex fosse stata monitorata soprattutto con l’aggravarsi delle condizioni meteo?
O se i soccorsi fossero partiti in tempo utile prima a mare e poi a terra?
«Se ci avessero chiamato un’ora e mezza prima noi li salvavamo.

Perché? Perché riuscivamo ad intercettarli.

Noi sappiamo che poi ti spiaggi o ti sfracelli sopra gli scogli, li fermavamo e li portavamo
via.

Purtroppo quando siamo arrivati non c’era più modo di fare niente se non salvare qualcuno».
A parlare, con parole inequivocabili, è il capitano di vascello Nicola Aloi, già comandante della Capitaneria di porto di Crotone al momento del naufragio.

La sua testimonianza, inedita, è adesso agli atti del corposo fascicolo che il 5 marzo approderà davanti al gip di Crotone chiamato a decidere il processo sollecitato dalla Procura per sei tra ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza e della Guardia costiera accusati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.
Fu Aloi, nel frattempo trasferito a Livorno, nei giorni immediatamente successivi al naufragio, a tirare in ballo le ormai famose regole di ingaggio di cui, a febbraio 2023, si sapeva poco o nulla.
«Perché non siamo usciti?

Dovreste conoscere gli accordi a livello ministeriale.

Le nostre regole di ingaggio sono una ricostruzione molto complessa.

Le procedure promanano spesso dal Viminale», disse con parole accorate davanti ad una selva di microfoni con i corpi di donne, bambini, uomini ancora allineati nella palestra di Cutro.
E un anno dopo, a maggio 2024, davanti al sostituto procuratore di Crotone Pasquale Festa, titolare dell’inchiesta bis sui ritardi nei soccorsi, Aloi ha ribadito che se quella notte gli uomini della Guardia costiera che avrebbero potuto trarre in salvo i circa 180 migranti a bordo del caicco, non uscirono in mare fu perché le nuove regole di ingaggio qualificavano come operazione di
polizia i soccorsi alle imbarcazioni di migranti assegnandone la competenza alla Guardia di finanza e prevedendo il coinvolgimento della Guardia costiera solo al momento della dichiarazione di caso Sar (ricerca e soccorso) che per il caicco di Cutro non venne mai dichiarato.
«Per quanto riguarda gli scenari migratori — spiega Aloi al pm — esiste una direttiva interministeriale che risale al 2005 che deroga alla materia del soccorso per accordo tra il ministero dell’Interno e quello dei Trasporti.

E in questa direttiva è chiaramente stabilito che l’operazione che riguarda i migranti rimane un’operazione di Law enforcement finché non si presentano i caratteri del Sar.

La figura del comandante della Finanza (dal 2016 unica forza di polizia del mare) viene investita della funzione di On scene commander, comandante della scena».
Ma se voi aveste avuto la piena consapevolezza che su quella barca vi erano 180 persone, di cui due terzi donne e bambini, qualche neonato, tenuto conto delle condizioni meteo di quella sera e della rotta seguita, sarebbe cambiato qualcosa si o no?, incalza il pm.
E Aloi non si sottrae: «Probabilmente sì, li avremmo aspettati in prossimità della costa.

Il problema è che noi non abbiamo avuto il tempo di uscire dal porto, perché quando siamo stati chiamati la barca era già spiaggiata».

Di più. Aloi punta l’indice contro i colleghi della Guardia di finanza: «E non è prassi ordinaria che la guardia di finanza chiama i carabinieri, cosa che è successa quella notte. Deve chiamare noi. Saremmo usciti e saremmo andati incontro al target, li avremmo contattati, avremmo ovviamente appurato qual era la situazione e da lì l’avremmo seguita pronti ad intervenire».
Ma alla Guardia costiera, come ha ormai perfettamente ricostruito l’inchiesta della Procura di Crotone, nessuno chiese mai di intervenire.

Eppure, secondo i pm, una qualche responsabilità ce l’hanno anche i due ufficiali della guardia
costiera in servizio quella notte e per questo, oltre agli ufficiali della Guardia di finanza Alberto Lippolis, Giuseppe Grillo, Antonino Lo Presti e Nicolino Vardaro, di turno negli uffici di Vibo Valentia e Taranto, ha chiesto il rinvio a giudizio per Nicola Nania, ufficiale d’ispezione
presso la centrale operativa di Reggio Calabria, e per Francesca Perfido, dell’Imrcc di Roma.

Fonte laRepubblica

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