Acceso confronto tra la premier e Giorgetti in Consiglio dei ministri. Gli staff: non è vero
Guai a parlare di «scontro », da quando a Palazzo Chigi c’è Giorgia Meloni.
Nelle stanze con vista su piazza Colonna la parola è bandita, soprattutto quando i duellanti sono i «big» della maggioranza.
Ecco allora che, alle otto della sera, una nota concertata dagli uffici stampa della Presidenza del Consiglio e delle Finanze atterra sugli smartphone dei giornalisti per smentire «categoricamente» attriti e acuti tra Meloni e Giorgetti.
La premier e il responsabile dei conti pubblici, assicurano i rispettivi staff, lavorano «in piena
sintonia e con la massima condivisione» su tutti i dossier, «inclusa la difesa Ue».
Eppure, alla discussione in Consiglio dei ministri hanno assistito diversi esponenti dell’esecutivo.
E forse non è un caso che il presidente del Senato, Ignazio La Russa, su Rete4 abbia fatto un appello:
«Sarebbe giusto controllare i toni al nostro interno e non creare una rottura capace di indebolire l’Italia e quindi anche l’Europa».
La scena è in due tempi. In un angolo della finché lui si alza e se ne va, inseguito dalle battute sottovoce dei colleghi di FdI: «Prima voleva la leva obbligatoria, ora è pacifista… Con Berlusconi e
Conte era favorevole al 2% del Pil per le spese militari, ora è contrario… Va bene che ha il congresso, ma sta esagerando ».
E non è finita. Roberto Calderoli è furibondo perché la legge delega sui Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), fondamentale per far ripartire l’Autonomia, si è impantanata: «Ho scritto ai ministri e nessuno mi ha risposto ».
La premier media e il sottosegretario Alfredo Mantovano sprona tutti a dar seguito alla richiesta del titolare degli Affari regionali.
Tensioni che hanno innervosito Meloni, determinata a ricompattare una coalizione andata in
frantumi in Europa sul piano di riarmo di Ursula von der Leyen e sul sostegno all’Ucraina, con la clamorosa astensione di FdI.
Martedì al Senato e mercoledì alla Camera la presidente parlerà in Aula in vista del Consiglio Ue e vuole scongiurare una spaccatura sul voto.
Il testo della risoluzione di maggioranza sarà scritto a Palazzo Chigi, poi verrà sottoposto a Salvini e Tajani e infine potranno visionarlo i capigruppo.
La premier, a dispetto delle fibrillazioni, è ottimista: «Troveremo la quadra».
Dal Canada, dove è volato per il G7, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia ha confermato che il governo «non è favorevole all’invio di truppe della Nato o della Ue in Ucraina».
Ragionare sulla partecipazione dell’Italia alla coalizione dei volenterosi a cui lavorano Francia e Regno Unito è per Tajani «molto prematuro, perché prima bisogna arrivare alla pace».
Il primo ministro Keir Starmer ha invitato per domani i leader dei «volenterosi» a una video-call e
Meloni, salvo sorprese, non si collegherà.
«Se si parla dell’invio di truppe al fronte ucraino io non ci sarò», è la linea.
Ieri i cambi in corsa nell’agenda della premier hanno rilanciato l’ipotesi di un «blitz » imminente per incontrare Donald Trump alla Casa Bianca, ma lo staff non conferma: «Non ci sono viaggi all’orizzonte».
