Tre miliardi di euro da febbraio 2022, l’inizio della guerra in Ucraina.
È quanto l’Italia ha “speso” per sostenere Kiev con l’invio di armi e munizioni. La cifra l’ha rivelata il ministro della Difesa, Guido Crosetto, nell’audizione segreta tenutasi al Copasir il 7 maggio, presentando l’undicesimo pacchetto all’Ucraina. La cifra non è pubblica, come non lo sono tipologia e quantità di materiali inviati. Nel segreto nelle stanze di palazzo San Macuto, qualche dato però è stato fornito. I 3 miliardi riguardano il valore delle armi spedite: sono rifornimenti non comprati ad hoc ma che l’Italia possiede in “surplus”, di cui ampie quantità si trovano da anni nei magazzini. Durante il governo Draghi sono stati spediti lanciatori Stinger, missili anticarro Milan, le MG e le
Browning, armi che derivano da mitragliatrici tedesche e americane della Seconda guerra mondiale. E poi gli M-72 Law, ossia i lanciarazzi portatili anticarro. Ci sono poi i Samp/T, un sistema missilistico a media portata. Altra questione sono invece gli Storm Shadow, missili a lunga gittata, prodotti Mbda, joint venture
composta da AirbusGroup, dalla britannica Bae Systems e da Leonardo.
Nell ’undicesimo pacchetto non ci sono né missili né munizioni per il Samp/T ma 400 carri armati M113 chiesti da Kiev e considerati dei “f er r iv ec c hi ”: sono stati bonificati dall’amianto e il loro smaltimento sarebbe costato più che inviarli.
Per quel che però riguarda le munizioni da magazzino, il valore delle armi consegnate dall’Italia in quasi tre anni e mezzo di guerra è pari soltanto a quello della Spagna. Negli altri Paesi si parla di cifre molto più elevate, come ha spiegato sempre Crosetto al Copasir. Ad esempio, la Germania ha speso 3 miliardi nel solo 2025, la Francia altri 2 miliardi, sempre
quest ’anno. È per questo, anche alla luce dell ’impegno degli altri Stati, che Crosetto ha puntato l’attenzione sulla velocità di produzione. Perché se è vero che a Kiev sono state spedite armi perlopiù in disuso, è anche vero che si è posta la necessità di riempire gli arsenali con nuove forniture.
L’Italia ha già raggiunto il 2% di Pil in spesa per la Difesa, ma l’obiettivo è aumentare ancora, in linea anche con l’impegno richiesto dalla Nato, ossia del 5 per cento.
È in questa ottica che Crosetto anche al Copasir ha ribadito che la produzione delle aziende italiane deve procedere in modo più spedito. Arrivando ad accusare alcune industrie della Difesa di prendersi
due settimane di ferie in aprile, mentre le altre potenze si stanno riarmando. E per avere un quadro più preciso, il ministro ha riferito di aver chiesto al Capo di stato maggiore della Difesa un inventario reale degli armamenti posseduti dall’Italia.
Durante l’audizione Crosetto ha fatto riferimento pure alle intenzioni di Vladimir Putin. In sostanza ha sostenuto che le azioni del presidente russo sembrano smentire la volontà di un percorso che
porti alla pace. Basti pensare all’arruola – mento di un milione e 600 mila persone nelle forze armate
russe e alla produzione di armi che crescerà nel 2025. E in questo ambito è stato fatto riferimento
a un “documento segreto” del ministero della Difesa tedesco che delinea un possibile “percorso verso il conflitto” tra la Russia e la Nato e che è stato rivelato, ormai un anno e mezzo fa, dalla Bild. Nell’articolo si prospettano “pesanti attacchi informatici e altre forme di guerra ibrida, soprattutto
nella regione baltica, che portano a sempre nuove crisi”. Non ci sono prove a sostegno di ciò e un portavoce del ministero della Difesa tedesco ha detto al quotidiano che “considerare diversi scenari, anche se estremamente improbabili, fa parte
dell’attività militare quotidiana”.
Intanto ieri Crosetto ha aperto i lavori della riunione dell’ “E5” dei ministri della Difesa di Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Polonia tenuta al Palazzo Aeronautica di Roma. Anche in questa sede il titolare della Difesa ha ribadito la necessità di accelerare la produzione di armi: “Dobbiamo recuperare un gap, anche industriale per la produzione degli armamenti necessari –ha spiegato –. Il 2% è un punto di partenza”.
Da ilFattoQuotidiano
