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La mediazione di Prevost, offre a Kiev la Santa Sede per il vertice con Mosca

Last updated: 19/05/2025 16:29
By Redazione 108 Views 7 Min Read
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Nel giorno dell’intronizzazione, il Vaticano è lo snodo della diplomazia. Incontro tra Leone e Zelensky, che lo ringrazia per la disponibilità

Quella fila ordinata dentro la basilica di San Pietro, composta da capi di Stato, primi ministri e regnanti di tutto il mondo, per salutare il nuovo Papa è forse la metafora più efficace di quel che
sta avvenendo. Un omaggio a Leone XIV che dura oltre un’ora e che va oltre il cerimoniale.

Come quell’immagine di Donald Trump e Volodymir Zelensky seduti faccia a faccia in una delle navate dopo i funerali di Francesco del 26 aprile scorso, anche l’“intronizzazione” di Leone XIV restituisce un messaggio carico di significati e simboli.

I potenti del mondo, quasi tutti, si rivolgono al Pontefice, come se fosse il principale fattore di stabilizzazione diplomatica.

Roma, quella d’Oltretevere, ridiventa così il crocevia non degli interessi nazionali ma della potenziale ricerca di un equilibrio.

In un’epoca in cui la confusione regna sovrana, la Santa sede appare come l’istituzione in grado di offrire soluzioni più che ordini.

La sua esperienza bimillenaria una sorta di garanzia di imparzialità e una scialuppa di salvataggio
per l’Occidente e non solo. Quella coda al termine della cerimonia è allora l’emblema più chiaro della
ricerca di un bilanciamento.

Il Papa americano, ma con una tempra “latina” e un’esperienza radicata nell’Italia europea, torna ad essere l’Istituzione a cui rivolgersi per una preghiera o per un aiuto.

La delegazione del nostro Paese, guidata da Sergio Mattarella, poi quella peruviana — Paese di cui Prevost ha la cittadinanza — quindi tutte le altre, compresa quelle americane e ucraine. Non quella russa, però, bloccata — quasi come il segno di un destino — da un problema di «rotta aerea».

Roma, dunque, dentro i confini dello Stato Vaticano, si trasforma improvvisamente nel centro della
politica globale.

La parola “pace” risuona più forte nella piazza dove si sono radunati in quasi duecentomila per ascoltare il Papa nuovo perché è quella più usata da Leone XIV. Un messaggio in grado di arrivare
alle orecchie di Putin con un numero di decibel ben più alto di qualsiasi altro.

E infatti dopo la messa, la prima udienza Prevost la riserva al presidente ucraino Zelensky. Che gli
chiede qualcosa di più di una semplice mediazione con il Cremlino. Propone al Santo Padre di ospitare in Vaticano l’eventuale incontro con il “nemico” di Mosca.

Non si tratta, dunque, solo di intercedere per provare a porre fine alla guerra, ma di elevare l’autorità morale a persuasione politica. Tentare di riuscire a fare nella capitale italiana quel che non si è riuscito nei giorni scorsi in Turchia.

Tutti si aspettavano un summit risolutivo a casa di Erdogan, ma le speranze si sono rivelate vane. «Ringraziamo il Vaticano — ha allora detto il leader di Kiev dopo aver di muovo invitato il Papa in Ucraina — per la sua disponibilità a fungere da piattaforma per i negoziati diretti tra Ucraina e Russia. Siamo pronti al dialogo in qualsiasi formato per ottenere risultati tangibili».

Poco prima si era già consumata una piccola vittoria del buon senso. Sul sagrato di San Pietro, lo stesso Zelensky e il vicepresidente Usa, J.D. Vance, si stringono la mano.

Lo scontro violentissimo tra i due del marzo scorso si trasfigura così in un ricordo lontano. Anzi, un
altro colloquio di circa mezz’ora nel pomeriggio a Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore statunitense, è una specie di bollinatura del nuovo clima.

Zelensky, che sempre prima dell’inizio della cerimonia abbraccia Giorgia Meloni, avrebbe voluto incontrare anche la presidente del consiglio.

Ma qualcosa nell’agenda non va e Palazzo Chigi preferisce glissare.

Ma appunto Roma, quella papale, è ormai uno snodo della politica internazionale. Sebbene stavolta
non siano presenti Trump, il presidente francese Macron e il premier britannico Starmer, ci pensa il neo cancelliere tedesco Merz ad annunciare mentre lascia San Pietro che oggi ci sarà una videotelefonata con il tycoon insieme agli alleati “volenterosi” di Parigi, Londra e Varsavia. Per fare il punto prima che il “Commander in chief” degli States parli al telefono con Putin.

Ancora una volta, quindi, viene esclusa Giorgia Meloni, fuori dal giro dei “grandi”.

Ma la premier italiana imbastisce, anche per annebbiare la sua estromissione, un altro summit: con Vance e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Il vicepresidente americano riconosce a Meloni di essere «una costruttrice di ponti». In questo caso tra l’Ue e gli Usa.

Inevitabile che nei 90 minuti di riunione a Palazzo Chigi si sia parlato soprattutto della guerra dei dazi mossa dall’America contro l’Europa.

«Abbiamo qualche disaccordo, come gli amici a volte hanno, per esempio sui dazi — ammette il numero due della Casa Bianca — ma abbiamo anche molte cose su cui andiamo d’accordo».

La presidente del consiglio incassa i complementi dell’amico di Washington che la definisce una «buona amica ». Von der Leyen si è detta «fiduciosa » circa la possibilità di trovare un’intesa e ha promesso più investimenti sulla difesa come reclamato dall’amministrazione trumpiana.
Ma non è andata oltre.

Del resto già nei giorni scorsi aveva sottolineato che avrebbe incontrato l’alleato statunitense solo quando si poteva chiudere un accordo.

E questo vertice improvvisato non aveva questa caratteristica e non se lo aspettava proprio. Anche per paura che venisse interpretato come una riunione di serie B.

Vance, dopo il summit trilaterale, torna a Villa Taverna e parla con il nuovo presidente canadese,
Mick Carney. Un’altra spina nelle relazioni della stazione trumpiana.

E ancora oggi Roma sarà l’epicentro della diplomazia: Vance tornerà in Vaticano per incontrare Papa
Leone XIV. Nello stesso giorno in cui Trump parlerà al telefono con Putin.

La mediazione della Santa Sede è dunque già iniziata. Il Pontificato di pace avviato da Prevost
può cambiare i connotati alla confusione globale.

Da laRepubblica

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