In un’epoca dove la velocità dell’informazione supera la profondità della riflessione, pensare autonomamente è un atto di resistenza.
Accettare un’idea per mera deferenza all’autorità non è prudenza. È complicità. È resa.
È tradire l’essenza stessa della nostra umanità.
È la fine del pensiero libero.
Chi piega il proprio discernimento per compiacere l’ordine costituito diventa un ingranaggio silenzioso di un sistema.
Un regime che prospera sull’apatia collettiva.
Che rinnega l’eredità di Kant e il suo monito senza tempo: “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza!”
Nel nostro presente, la sottomissione non si impone col terrore, ma si coltiva con sottili ricompense per chi si allinea, isolamento per chi dissente.
La censura non si intima più con la violenza, ma si insinua con raffinate tecniche di controllo sociale: il prezzo del pensiero critico è l’isolamento, la marginalità, l’ostracismo.
Il potestà ha scoperto che le catene più efficaci sono invisibili. Non servono prigioni quando trasformi le menti in celle perfette.
Chi oggi osa pensare viene isolato con un semplice clic. Bloccato. Silenziato. Shadowbanned. Un esilio moderno, senza sangue ma ugualmente funesto per l’intelletto.
È così che il potere si perpetua: non con la forza brutale, ma con la manipolazione silenziosa delle coscienze.
Hannah Arendt, con la lucidità che solo chi ha vissuto il baratro può avere, ci aveva già messo in guardia: il male più devastante non nasce dalla malvagità deliberata, ma dall’assenza di pensiero critico. È la “banalità del male” che prolifica dove manca il giudizio autonomo.
Quel male che si insinua nel grigiore quotidiano di chi obbedisce ciecamente.
Ed è proprio questo il male di questo nostro tempo.
Il male dell’abitudine. Dell’indifferenza.
Il male di chi si adegua.
Pensare è scegliere. E scegliere significa pagare il prezzo dell’indipendenza intellettuale.
L’ho sperimentato quando mi è stato chiesto di “abbassare i toni”, per non turbare equilibri precostituiti.
Di tacere in nome del quieto vivere.
Di filtrare la verità.
Ma non esiste veleno più sottile del silenzio complice.
Ogni compromesso solleva interrogativi scomodi: chi beneficia realmente della nostra acquiescenza? Quali interessi serviamo quando rinunciamo a pensare?
Viviamo tempi in cui il pensiero critico è bollato come eresia.
La libertà di giudizio è scomoda.
Il coraggio intellettuale è visto con sospetto.
Chi cerca la verità diventa nemico pubblico.
Ma noi non siamo qui per compiacere il potere. Siamo qui per ricordargli che, com’è noto, non è intoccabile.
I pensatori indipendenti vengono spesso isolati, derisi, talvolta perseguitati. Eppure in questo rifiuto di piegarsi risiede la nostra più autentica dignità.
Quando Pasolini proclamava: “Io so. Ma non ho le prove” -o forse sì-, incarnava la postura essenziale dell’intellettuale: vedere oltre l’apparenza, intuire verità ancora indicibili. Quelle di chi non attende conferme ufficiali per esercitare il proprio dovere di coscienza.
Era la voce di chi sa leggere tra le righe, che fiuta la menzogna prima ancora che venga stampata.
Già.. chi vede troppo chiaramente fa paura. Ieri come oggi.
È questo che terrorizza i regimi mascherati da democrazie.
I sistemi di potere temono gli intellettuali non per ciò che fanno, ma per ciò che rappresentano: la possibilità di immaginare alternative all’ordine dominante.
Temono chi smaschera le ipocrisie. Chi ha il coraggio di esporsi. Chi non ha prezzo.
È il pensiero non allineato che rivela a tutti la possibilità di un mondo diverso.
Il conformismo di oggi non ha bisogno di dittature esplicite: si nutre di silenzi, di paure, di marginalizzazione delle voci critiche, di adulazione servile.
La nostra mente è l’ultimo territorio non ancora colonizzato. E il potere lo sa.
Il sonno della ragione genera mostri, e talvolta anche i mammasantissima: Mostri mascherati da funzionari, da esperti, da salvatori.
E li fa venerare da masse anestetizzate.
Lo schema viene orchestrato sempre dall’alto. Dicono.
Per tentare goffamente di nascondere responsabilità e connivenze.
Si vuole forgiare una massa di uomini e donne manipolabili, controllabili, inetti: le caratteristiche perfette per chi desidera esercitare il potere senza fastidi di alcun tipo.
Le conseguenze sulle nuove generazioni sono devastanti: nichilismo dilagante, inazione cronica, disorientamento esistenziale.
È la paralisi sociale e mentale di chi non sa più elaborare un pensiero indipendente né tradurlo in azione concreta.
Una generazione incatenata non da catene fisiche, ma dall’incapacità di immaginare alternative.
Ho visto intellettuali diventare pappagalli del potere.
Artisti trasformarsi in clown dell’establishment.
Giornalisti prostituirsi.
Avvocati tradire il loro mandato di servire verità e giustizia.
Così ho visto tanti allinearsi, rinunciare, barattare la propria lucidità per un piatto di lenticchie. Per banale sopravvivenza tout court.
Hanno scoperto che svendere il proprio pensiero è più redditizio che usarlo.
E il potere ha compreso che è più efficace corrompere che perseguitare.
Ma noi non siamo in vendita!
Contro questo sistema, pensare diventa atto politico. Rivoluzionario.
Perché perdere tutto non è nulla, rispetto a perdere se stessi.
Scrivere, denunciare, dissentire: oggi più che mai, è un dovere morale. Un dovere verso noi stessi. Verso chi verrà dopo di noi.
Dobbiamo interrogarci:
perché sacrificare la nostra intelligenza sull’altare del consenso? Perché alienare la nostra coscienza per una poltrona, un applauso, un favore?
La sovranità del pensiero non è privilegio di pochi. È dovere morale di tutti.
In un mondo che premia l’obbedienza e punisce il dissenso, rivendicare il diritto al pensiero autonomo significa onorare con coraggio la vocazione più alta dell’essere umano: la ricerca incessante della verità.
La vera prigione non è intorno a voi, ma dentro di voi.
Nulla è più vile del silenzio di chi sa, ma sceglie di tacere.
Nulla è più colpevole del silenzio complice di fronte all’ingiustizia.
Pensare liberamente è il nostro estremo, inviolabile, atto dirompente.
Non è solo un diritto da difendere.
È un dovere da onorare.
È un atto di coraggio quotidiano.
È il primo, irrinunciabile, passo verso l’autentica libertà.
Quella senza padrini e senza padroni.
Marinella Andaloro
