Per Giovanni Falcone la verità non era un’opinione, non era un’opzione, e di certo non era una comodità. Era un dovere. Un’esigenza. Una missione. “La verità vive solo se qualcuno ha il coraggio di raccontarla,” diceva e lui lo faceva con le sentenze, con le inchieste e con i fatti.
A differenza di tanti, che davanti alla verità scappano, lui ci andava a braccetto, pagandone il prezzo, ovviamente. Ma senza mai fingere di non sapere e senza voltarsi dall’altra parte.
“Le verità scomode fanno rumore”
Durante un’intervista, gli chiesero se non avesse paura a dire certe cose, lui rispose, serafico:
“Non è che non ho paura, è che la verità fa più paura a loro”
Quante volte, ascoltando un politico, abbiamo la netta sensazione che le sue parole non dicono nulla di concreto e che assomigliano ad un bel vestito, tagliato su misura per l’occasione, più che una dichiarazione completa e trasparente.
La politica, troppo spesso, non ci racconta tutto, anzi, dice solo ciò che le fa comodo.
Il nocciolo del problema risiede in una comunicazione politica che privilegia l’opportunità alla chiarezza.
Non è raro assistere a discorsi o a delle risposte che, pur sembrando esaustivi, almeno per chi è a loro politicamente vicino, lasciano invece nell’ascoltatore medio il vuoto sulle informazioni cruciali.
Non parliamo poi delle risposte a domande scomode che non arrivano o sono spesso un vero e proprio esercizio di equilibrismo verbale, una serie di giri di parole e affermazioni generiche che sviano l’attenzione dal punto centrale, ottenendo il risultato che se prima avevamo un dubbio, dopo l’intervento del politico, quel dubbio si trasforma in una certezza, alimentando la sensazione che qualcosa non torni.
Questo modo di fare non è casuale, bensì una “strategia” ben precisa.
Infatti il mantenere un certo grado di ambiguità permette di evitare impegni vincolanti, dichiarazioni troppo specifiche che possono poi essere usate contro il politico in futuro.
La vaghezza offre un margine di manovra maggiore, quella di accontentare con una risposta che non assume una posizione troppo definita e che può essere interpretata in modi diversi, permettendo di nascondere aspetti scomodi, compromettenti o impopolari.
Talvolta, la mancanza di chiarezza serve a celare decisioni ancora non prese o dettagli che potrebbero generare proteste e malcontento.
Lo scopo di questa comunicazione “a fisarmonica” è quella di accontentare i cittadini pensando nello stesso tempo che siano ingenui e di conseguenza si bevano tutto quanto, compreso il “non detto” non capendo bene come stanno realmente le cose.
Se è vero il vecchio “a pensar male si fa peccato, ma delle volte ci si azzecca”, in politica questa massima trova spesso una conferma.
La ripetuta esperienza di risposte evasive o di mezze verità alimenta la già scarsa fiducia che rende sempre più difficile per il cittadino credere alle promesse o alle spiegazioni ufficiali.
Cosa chiedono in fondo i cittadini? Risposte. Risposte esaustive, che chiariscano ogni aspetto, che non lascino spazio a interpretazioni arbitrarie. Vogliono trasparenza, non stratagemmi retorici.
Vogliono capire il “perché” e il “come” di fatti e avvenimenti, delle decisioni che influenzano la loro vita, non sentirsi trattati come spettatori passivi di un gioco di prestigio.
Ma in fondo questi cittadini cosa pretendono; li hanno eletti, bene adesso stiano zitti e credano ogni parola di quel che dicono, non osino neanche contestarli, il rischio che si corre oggi è grande.
La politica dovrebbe invece essere il luogo del confronto e della chiarezza, non dell’occultamento.
Ma finché prevarrà la logica del “dire solo ciò che fa comodo”, la distanza tra cittadini e istituzioni sarà destinata ad aumentare, con conseguenze negative per la partecipazione democratica, la stessa democrazia e il benessere collettivo.
Abbiamo usato le parole di Giovanni Falcone perchè crediamo anche noi che certe verità fanno più paura a loro che a chi le dice. Ad Maiora
