30% da agosto. La letteraccia che ribalta il negoziato
Lo sapeva, Giorgia Meloni. Da due giorni.
Ne aveva parlato giovedì con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, chiuse in uno stanzino al primo piano della nuvola dell’Eur a margine della conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina.
Entrambe sapevano che sarebbe arrivato un colpo così forte da Washington, che di fatto certifica il rischio di fallimento della trattativa portata avanti da Bruxelles per settimane.
Ed è proprio l’irritazione nei confronti della commissione Europea e delle rigidità di Von der Leyen e dei suoi collaboratori ad aleggiare nell’entourage della presidente del Consiglio (“mandiamo in giro Sefcovic, ma che peso pensate che abbia?”, ironizza un esponente di governo).
Per questo, la strategia del governo si muove su due fronti. Il primo è chiaro: trattare senza
irritare la Casa Bianca.
La Premier crede che il 30% non sarà la tariffa che verrà applicata dal primo agosto, ma che bisogna
fare di tutto per abbassare la quota.
Lo aveva chiesto lei stessa nella telefonata di lunedì notte con Trump.
Senza attivare già l’allarme rosso di possibili “ristori” nei confronti delle imprese e compensazioni
per i settori più colpiti, perché questo significherebbe fornire un assist al presidente americano
Donald Trump: vorrebbe dire fargli sapere che l’Italia può trovare una soluzione da sola con i dazi.
E invece non è così. Per trattare però Meloni è convinta che non si debba rispondere attaccando
a testa bassa il presidente degli Stati Uniti e quindi la nota di Palazzo Chigi è molto cauta: Meloni
sostiene gli sforzi della Commissione sperando nella “buona volontà” di tutti per “rafforzare
l’Occidente” e senza “innescare uno scontro commerciale” con gli Usa evitando “polarizzazioni che
renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa”.
E qui si arriva alla seconda mossa che è tutta politica: di fronte alle “r igi di tà” dei “bur oc rat i” di
Bruxelles e ad alcune posizioni troppo “ideologiche” di Von der Leyen, infattiMeloni crede che si
debba mettere in campo la “politica”. Ieri la premier ha sentito al telefono la presidente della
Commissione, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il presidente francese Emmanuel Macron.
Non si esclude un vertice europeo straordinario già la prossima settimana, dopo il passaggio al Coreper (gli ambasciatori dei 27 Paesi) di oggi.
L’asse su cui punta l’Italia è quello con Merz che ha parlato di “pragmatismo” con Washington.
Macron, invece, ha rotto il fronte europeo condannando “fermamente ” Trump e meccanismi “anticoercizione”.
Stessa linea di Von der Leyen.
Nel frattempo l’Italia spera di continuare ad aprirsi a nuovi mercati alternativi.
Un lavoro che il ministro degli Esteri Antonio Tajani – che lunedì volerà a Washington dal segretario di Stato Marco Rubio mentre il commissario Sefcovic sarà in Italia – sta facendo da mesi.
E tra questi c’è il Mercosur, l’accordo con i Paesi dell’America Latina, che fino ad oggi era un tabù in FdI per le possibili conseguenze negative sul mondo agricolo (storico bacino di voti meloniano) ma che ora è più vicino: “Se ristoriamo gli agricoltori e viene meno il veto polacco e francese è una strada”, dice un ministro.
Una strada stretta da cui Meloni deve provare a uscire sia perché alla sua destra ha la concorrenza
di Matteo Salvini, che ieri ha già attaccato prendendosela con la Commissione “a trazione tedesca”,
ma anche perché la premier deve provare ad evitare una congiuntura pericolosa, quella dell’autunno.
Meloni ha sempre considerato dazi e spese per la difesa come due facce della stessa medaglia.
Ad oggi lo scenario è il peggiore possibile: dazi al 30% e spesa militare al 5%. Tra 20 giorni, chissà.
Da ilFattoQuotidiano

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