La notizia era nell’aria, ma la conferma è arrivata con la freddezza di una sentenza amministrativa: il TAR ha respinto il ricorso del Comune contro la demolizione dell’antenna di Rai Way.
Una pronuncia che, di fatto, spiana la strada alla scomparsa di un’icona del panorama urbano, e che in molti considerano, solo oggi, l’epilogo di una partita giocata male fin dall’inizio.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto la tesi di Rai Way, e secondo alcuni osservatori, la difesa del Comune sarebbe stata debole, quasi “a mani basse”, priva di argomenti solidi o, peggio ancora, di una strategia lungimirante.
Un esito che non sorprende, se si considera il lungo tira e molla che ha caratterizzato tutta la vicenda.
In fondo, “era già tutto previsto”, come qualcuno ha scritto o quantomeno prevedibile per chi ha seguito la storia passo dopo passo.
Ora che la strada verso la demolizione è libera per Rai Way, verrebbe quasi da pensare che per la politica questa sentenza sia stata una sorta di “ni livammu un pinsieri”, un modo per sbarazzarsi di una questione spinosa, un problema che nessuno ha voluto/saputo affrontare davvero negli anni.
E così, mentre la politica si mostra spavalda, brillante e decisa quando le è facile ottenere visibilità e consenso, in questo caso ha permesso che un simbolo identitario, come viene definito da molti cittadini, fosse abbandonato al suo destino fino a scomparire, una forma di morte lenta ma inesorabile.
Resta l’amaro in bocca per quanti si sono spesi, hanno manifestato, e hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica per la sua salvaguardia.
A loro va la solidarietà, come va sempre data a chiunque crede e porta aventi giuste battaglie, ma a loro va anche l’invito a una riflessione, già altre volte sollecitata e rimasta inascoltata.
Troppe parole, troppe discussioni, tanti buoni propositi, ma mai nulla di concreto e sostanzioso è stato fatto in tutti questi anni.
Un mea culpa non guasterebbe, che servirebbe anche per capire perché l’impegno profuso non si sia tradotto in azioni efficaci, sperando che se ne faccio esperienze per non ricadere negli stessi errori, in futuro e su altri beni..
Ora il destino dell’antenna sembra segnato. Non è chiaro se ci sarà un ulteriore ricorso, sempre che si abbiano delle valide motivazioni a supporto, riproporre le stesse presentate a Palermo, francamente equivarrebbe solo a farsi belli, ma nulla più.
Ieri in contemporanea però arriva la notizia sulla Piscina, sicuramente una coincidenza, notizia che è servita ad attenuare il dolore della sentenza, impianto ancora da aprire, probabilmente il prossimo anno, e chissà quanto ci costerà questa “intesa bonaria” o “punto d’incontro”, che gà detto in questa maniera, non avendone spiegato i contenuti ma che, parlando di coinvolgimento del consiglio comunale, lascia pensare che sarà bonaria per loro e per la loro immagine e meno bonaria per le tasche dei cittadini.
Se la questione Antenna è da considerarsi definitivamente chiusa, lo scopriremo quando la politica locale ci degnerà di un suo commento, anche se ciò non è avvenuto neanche per la perdita di posti letto al Sant’Elia, mentre sulla Piscina hanno parlato trionfalmente, ovviamente, un po’ tutti.
Ma ciò che è chiaro è il messaggio lanciato ancora una volta: quando si tratta di difendere il patrimonio storico e identitario, si è spesso lasciati soli, mentre la responsabilità di ciò che è accaduto ricade su chi avrebbe dovuto agire, su chi ha promesso di agire e fare e invece non ha mantenuto o ha agito per inerzia, male, o semplicemente non lo ha fatto. Ad Maiora

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