Seppur da lontano, dal forum sull’alimentazione ad Addis Abeba, in Etiopia, tutte le attenzioni, e le ansie, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sono concentrate sull’accordo sui dazi.
Di buon mattino, quando scende dallo Sheraton Hotel, si mostra prudente.
Non può attaccare il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, così definisce le tariffe del 15% “sostenibili” perché “non si sommano ai dazi precedenti”, ma comunque, aggiunge Meloni,
“c’è ancora da battersi”.
D’a ltronde, la narrazione del governo è che l’accordo evita una guerra commerciale con gli Usa e tutela le nostre imprese rispetto al rischio paventato del 30%. L’accordo, ha spiegato la premier, al momento non è ancora vincolante, facendo capire che ci sarà ancora tanto da negoziare. Anche perché ha aggiunto di non sapere di cosa si stia parlando a proposito del massiccio piano di acquisti di armi e gas americani per un totale di 750 miliardi.
Nelle sue dichiarazioni, la premier ha anche dato un colpo alla Commissione europea che deve accelerare “sulla semplificazione” e sui “vincoli”. Anche per coprirsi nei confronti di Matteo Salvini che ieri ha dato la colpa della trattativa alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
La presidente del Consiglio, invece, avrebbe avuto i primi contatti informali con Von der Leyen e anche con il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini.
Il governo inoltre è rimasto piuttosto irritato dalla posizione del governo francese che, con il primo ministro François Bayrou, ha detto che con questo accordo la Commissione europea si “sottomette” agli Stati Uniti.
“L’accordo l’ha fatto tutta l’Europa, quindi anche la Francia”, replica duro al Fatto il vicepremier, Antonio Tajani, uscendo dalla sede di Forza Italia a San Lorenzo in Lucina.
Il ministro degli Esteri, che domenica sera si era confrontato conMeloni, ieri ha incontrato le imprese e i settori più colpiti alla Farnesina e oggi farà il bis con il collega di governo Adolfo
Urso in una riunione al Comitato Attrazione per gli Investimenti Esteri (Caie).
I settori che preoccupano maggiormente l’esecutivo sono quello agricolo (bacino di voti meloniani),
ma anche quello del vino (ma qui sarebbe più complicato), dei formaggi e della moda.
Salva è invece la farmaceutica e viene considerato poco colpito il settore dell’acciaio (tassato in Europa al 50%): sia per la situazione dell’ex Ilva, sia perché l’export di acciaio negli Stati Uniti è sostanzialmente residuale.
L’obiettivo del governo adesso però è quello di trovare delle forme di compensazione per le imprese.
Non è in vista un decreto. Sostegni che richiederebbe uno scostamento di bilancio, mentre il governo vuole iniziare una trattativa per far sì che gli aiuti siano europei e non nazionali.
Ma senza attivare la clausola del Patto di Stabilità perorata da alcune parti della maggioranza, come la Lega.
Meloni però è contraria. Dunque l’obiettivo è quello di utilizzare parte dei fondi del Piano Pnrr che riguardano progetti impossibili da portare a termine.
In totale stiamo parlando di circa 25 miliardi, di cui 14 andrebbero alle imprese e gli altri per altri interventi come quello sull’energia. Ma per riuscirci il governo dovrà convincere l’Ue a non applicare le regole sugli aiuti di Stato, perché sono sussidi alle imprese.
Il governo ieri è stato criticato duramente dalle opposizioni.
Il M5S chiede a Meloni di spiegare in aula, Matteo Renzi dice che il ponte con gli Usa è “crollato” mentre la dem Elly Schlein di “resa alle imposizioni di Trump”.
Ha buon gioco FdI con Carlo Fidanza ad attaccare i dem che sostengono la Commissione.
Da ilFattoQuotidiano
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