Poco prima di essere ucciso l’investigatore volle parlare con Flamigni del Pci, membro
della commissione antimafia “Qui lo Stato è inefficiente”
Sembra che stia ancora parlando: «Concedere dei permessi ai mafiosi è fatto che incide sulla
sicurezza pubblica. La presenza sul territorio può turbare delle situazioni». E ancora: «C’è un pezzo di imprenditoria palermitana che ha un rapporto organico, di mutuo soccorso con l’organizzazione mafiosa». Dice poi: «Bisogna dare più strumenti alla polizia giudiziaria, che lavora senza sosta. Da quattro giorni non vedo i miei figli, e per me tutto questo è normale… è un ritmo di lavoro che ho assunto, è una scelta che ho fatto».
A parlare è il vice questore Ninni Cassarà, il capo della sezione Investigativa della squadra mobile di Palermo, il principale collaboratore del giudice Giovanni Falcone, ucciso il 6 agosto 1985 assieme al poliziotto Roberto Antiochia.
Qualche mese prima di morire, nel 1984, ha incontrato in gran segreto il senatore del Pci Sergio Flamigni, un’ex partigiano, componente della commissione parlamentare antimafia, che ha registrato ogni parola del prezioso colloquio.
La trascrizione è in 24 pagine dattiloscritte, che contengono diverse correzioni a penna, probabilmente fatte dallo stesso Cassarà.
“Repubblica” è venuta in possesso di questo straordinario documento e oggi, per la prima volta, è possibile leggere le riflessioni di quel poliziotto intelligente e brillante che nei drammatici anni Ottanta non smise mai di amare Palermo.
«Assistiamo all’inefficienza totale di questo nostro Stato — dice al senatore dell’Antimafia — noi e loro («È presente l’agente Natale Mondo», annota Flamigni) facciamo miracoli: facciamo ogni mese 150 ore di straordinario, sapendo che più di 80 non verranno pagate mai. Eppure continuiamo a lavorare. Ecco è una scelta».
Anche Natale Mondo fu poi ucciso dalla mafia, nel 1988.
Il dialogo fra l’investigatore e il senatore ripercorre i delitti eccellenti di Palermo. Un’attenzione particolare Cassarà dedica al presidente della Regione Piersanti Mattarella:
«Aveva un modo nuovo di governare — dice — non aveva una corrente con cui controllava il partito, però aveva aggregato attorno a sé tutta una serie di forze sociali, sindacali e voleva essere davvero un modo di governare più pulito».
Il poliziotto dice di essere certo del movente del delitto: «Mattarella cade sulla storia degli appalti delle scuole, ho fatto un rapporto su questa storia», dice facendo riferimento all’ispezione disposta
dal presidente.
«Cade non perché fossero importanti sei miliardi per sei scuole ma perché se il presidente della Regione comincia a rompere le scatole e si inserisce in questa storia diventa un uomo pericoloso».
Flamigni l’ha cercato Cassarà, per raccontargli cosa sta accadendo a Palermo. L’ha contattato tramite
un poliziotto della Mobile, Pippo Giordano, vecchio amico del senatore, che oggi conferma: «Si videro in maniera riservata a Partinico, a casa di Ninni».
Dalle 24 pagine riemerge quel dialogo serrato.
Flamigni ha una domanda dietro l’altra: «Con quali mezzi delle tecnologie moderne operate?», chiede. Cassarà dice: «Microfoni direzionali non ne abbiamo, possiamo fare le intercettazioni
telefoniche. Ma Palermo è una città particolarmente inquinata per cui a volte certi telefoni diventano muti. Ci sono impiegati della Sip che sono parenti, amici, conoscenti dei mafiosi, e all’improvviso sentiamo: “Il telefono ha la tosse”».
Cassarà è un poliziotto moderno: «Già da tempo abbiamo iniziato a schedare le imprese mafiose — spiega — quando c’è qualcuno che costruisce da una certa parte o fa un appalto iniziamo a vedere chi sono i soci».
Cassarà è un poliziotto che ha un’idea ben precisa su come organizzare le tante informazioni:
«È importantissimo centralizzare i dati», dice.
Ma quella è la Palermo dove lo Stato lascia i suoi uomini migliori in una terribile trincea:
«La legge La Torre è importante — dice ancora — ma come facciamo la lotta alla mafia con cinque auto? Io ho bisogno di uomini e risorse per trovare i prestanome».
Cassarà è soprattutto un investigatore che ha una visione: «Iniziò Giuliano, l’ha poi proseguita Falcone la vena degli accertamenti bancari».
Quell’investigatore ha uno sguardo internazionale, proprio come Boris Giuliano, il capo della Mobile ucciso nel 1979.
«C’è un tavolo rotondo al quale si siedono in 10, 20, che sono quelli che detengono il potere in questa città, e tutti sono interessati al traffico internazionale di stupefacenti — dice ora — Poi i loro soldi vengono investiti: a Roma per esempio ritengo che ci siano, anche se ancora non sono riuscito a trovarle, delle grosse imprese di costruzioni che hanno 10 cantieri in contemporanea».
Cassarà è soprattutto un profondo conoscitore di Palermo: «Immaginiamo — dice — che al centro ci sia il mondo mafioso, poi c’è un altro cerchio un po’ più grande dove ci sta della gente un po’ per bene, un po’ no. Lì sta certa imprenditoria, che dice: “Lo Stato non mi garantisce il lavoro e allora
io un rapporto con certe persone lo devo mantenere». Palermo irredimibile.
«Non è davvero una situazione facile — argomenta il poliziotto — anche perché in genere il cittadino si sente estraneo al problema mafioso. Qual è invece il suo problema?
Lo scippo o il furto. Sembra che la questione della lotta alla mafia riguardi magistrati e poliziotti, mentre tutti gli altri sono degli spettatori ».
Poi, il tono della voce cambia, annota Flamigni: «Io ritengo che all’Investigativa siamo persone pulite».
Scrive ancora il senatore: «Il tono dell’affermazione è piuttosto serio e preoccupato». Parole che oggi fanno tremare: l’allora capo della Mobile Ignazio D’Antone è stato poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Come Bruno Contrada. Quarant’anni dopo, sono ancora i baratri di Palermo.
Da laRepubblicaPalermo di Salvo Palazzolo
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