Altro che guerra chirurgica: quante smentite serviranno perché si ammetta che la strategia ha preso di mira un popolo più che un esercito?
Altro che “terroristi”. A Gaza il fuoco israeliano ha colpito soprattutto i civili: lo dice una banca dati interna dell’intelligence militare, non la “propaganda nemica”. Un’inchiesta di +972 Magazine e Local Call con il Guardian mostra che, allineando il database di Aman con i totali del ministero della Salute di Gaza, almeno l’83% dei palestinesi uccisi fino a maggio erano civili; considerando soltanto i decessi “certi”, la quota supera l’86%.
L’esercito ha confermato l’esistenza del database, poi ha provato a ritrattare: lo stesso zig-zag che da due anni accompagna i numeri degli “operativi eliminati”, gonfiati e sgonfiati senza coerenza mentre i numeri crescevano. Persino membri della commissione Esteri e Difesa della Knesset hanno messo in dubbio quei conteggi; l’ex Ombudsman dei soldati, Itzhak Brik, parla di una cultura della menzogna: «mentono senza sosta».
Il quadro operativo, intanto, racconta regole di ingaggio slargate: autorizzati più di cento civili uccisi per colpire un comandante di Hamas, fino a venti per un quadro intermedio. È la matematica del “danno collaterale” che diventa politica pubblica, con un rapporto di vittime civili rarissimo nelle guerre contemporanee.
Bugie insanguinate: ogni volta che emerge un fatto o un numero, l’ipocrisia genocidiaria si svela da sé. La “guerra chirurgica” era un comunicato con l’ossessione di far tornare le cifre prima che tornasse la verità. Se perfino i dati interni israeliani convergono sul massacro di civili, resta una domanda secca: quante altre smentite serviranno perché si ammetta che la strategia ha preso di mira un popolo più che un esercito?
Fonte LANOTIZIAGIORNALE.IT di Giulio Cavalli
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