L’accesso agli atti è il diritto del cittadino di visionare o estrarre copia di documenti amministrativi, garantendo così la trasparenza e il controllo dell’operato della Pubblica Amministrazione, basato sui principi della Legge 241/1990 e sull’accesso civico (Decreto Legislativo 33/2013).
Ma mentre un semplice cittadino deve dimostrare di avere un interesse diretto e concreto collegato a una situazione giuridicamente tutelata, un consigliere comunale ha il diritto di accedere a tutti gli atti e i documenti del comune che siano necessari per l’esercizio del suo mandato.
Questo diritto è sancito da diverse normative, tra cui l’articolo 43 del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), il Decreto Legislativo n. 267/2000.
La giurisprudenza ha più volte confermato che il diritto di accesso dei consiglieri è più ampio rispetto a quello dei comuni cittadini, in quanto finalizzato alla funzione ispettiva e di controllo che i consiglieri sono chiamati a svolgere.
Il diniego dell’accesso agli atti a un consigliere comunale è un atto illegittimo.
In alcuni casi eccezionali il diniego può essere giustificato, ma solo se gli atti riguardano dati personali o sensibili che non siano direttamente rilevanti per la questione di interesse pubblico, e comunque tale diniego deve essere sempre motivato per iscritto.
Nel caso specifico della riapertura della piscina comunale, come denunciato dal consigliere comunale Armando Turturici in questo articolo, che è una tematica di evidente interesse pubblico, il diniego di accesso agli atti è illegittimo.
Se un consigliere comunale si vede negare l’accesso ai documenti può agire in diversi modi:
Inviare una ulteriore richiesta formale e motivata, specificando gli atti desiderati e il motivo del diniego.
Diffidare il Sindaco o al Segretario Comunale, richiamando le normative vigenti e sottolineando l’illegittimità del diniego.
Se le prime due azioni non hanno esito alcuno, il consigliere può presentare un ricorso al TAR per ottenere l’accesso forzato agli atti. La giurisprudenza in materia è molto chiara e solitamente accoglie le richieste dei consiglieri.
In ogni caso, l’Amministrazione comunale ha l’obbligo di rispondere in modo tempestivo e adeguato alle richieste di accesso agli atti.
Il diniego ingiustificato dell’accesso agli atti a un consigliere comunale non è un semplice “fastidio” burocratico, ma un’azione illegittima che può comportare serie conseguenze per l’amministrazione e i suoi dirigenti.
Le conseguenze possono essere di natura amministrativa, giurisdizionale, disciplinare e penale.
Il ricorso al TAR è la conseguenza più immediata e frequente.
Nella quasi la totalità dei casi, il TAR accoglie il ricorso del consigliere, ribadendo la natura “espansa” e strumentale all’espletamento del mandato del diritto di accesso.
Il giudice ordina all’amministrazione di esibire immediatamente gli atti richiesti. L’amministrazione viene quasi sempre condannata a pagare le spese legali sostenute dal consigliere per il ricorso, oltre al contributo unificato versato per l’avvio della causa. Questi costi gravano sul bilancio comunale, e possono essere considerati come un danno erariale.
Il diniego illegittimo può portare a sanzioni per i funzionari responsabili.
Responsabilità del dirigente: Il dirigente o il funzionario che ha negato l’accesso può essere soggetto a un procedimento disciplinare interno all’ente. Il mancato rispetto di un ordine del TAR può essere un’aggravante.
Danno erariale: Se il ricorso al TAR si conclude con la condanna del Comune al pagamento delle spese legali, la Corte dei Conti può avviare un’azione per danno erariale nei confronti del funzionario o del dirigente responsabile del diniego illegittimo. La Corte dei Conti può accertare una condotta gravemente colposa e condannare il funzionario a risarcire il danno causato all’ente.
In casi particolarmente gravi e reiterati, il rifiuto di atti d’ufficio può assumere rilevanza penale.
Reato di Rifiuto e Omissione di Atti d’Ufficio (art. 328 c.p.): Il consigliere, a seguito del diniego o del silenzio, può presentare una denuncia-querela alla Procura della Repubblica. Se il pubblico ufficiale (ad es. il dirigente o il segretario comunale) omette di compiere un atto del suo ufficio che deve essere compiuto senza ritardo per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o comunque non risponde entro 30 giorni alla richiesta di compiere un atto dovuto, può incorrere in questo reato.
Oltre agli aspetti legali, il diniego di accesso ha un forte impatto politico e sulla reputazione dell’amministrazione.
Negare l’accesso agli atti, soprattutto su tematiche di interesse pubblico come la riapertura di una piscina, crea un’immagine di opacità, scarsa trasparenza e mancanza di rispetto per il ruolo di controllo dei consiglieri. Il diniego erode inoltre la fiducia dei cittadini e degli stessi consiglieri nel corretto funzionamento della pubblica amministrazione, alimentando sospetti e critiche. L’azione del consigliere che si vede negare un diritto fondamentale diventerà oggetto di dibattito in consiglio e sui media locali, con un impatto negativo per l’intera maggioranza e per il sindaco.
In sintesi, l’amministrazione che nega il diritto di accesso agli atti a un consigliere comunale non solo viola la legge, ma si espone a una serie di pesanti conseguenze che vanno dalla sanzione giudiziaria, con costi ovviamente a carico dei contribuenti, alle ripercussioni politiche e di immagine, che possono minare la stabilità e la credibilità dell’ente.
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