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Caltanissetta: Per undici mesi ha protetto, in silenzio e con coraggio, una donna appartenente alla famiglia dei Casamonica insieme ai suoi due figli, ma la Coop.Etnos continua a pagare sulla propria pelle

Last updated: 21/09/2025 6:45
By Redazione 356 Views 5 Min Read
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Per undici mesi ha protetto, in silenzio e con coraggio, una donna appartenente alla famiglia dei Casamonica insieme ai suoi due figli. Undici mesi di vitto, alloggio e sostegno in una casa rifugio gestita dalla cooperativa sociale Etnos di Caltanissetta, che in quel tempo ha garantito sicurezza e dignità a chi aveva deciso di spezzare i legami con una delle organizzazioni criminali più temute.

Una missione delicatissima, svolta con riservatezza assoluta e ad alto rischio. Il presidente della cooperativa, Fabio Ruvolo, e i suoi operatori hanno messo da parte ogni pretesa economica per non mettere a repentaglio la protezione della donna. Per mesi non hanno potuto emettere richieste di pagamento, che avrebbero potuto renderla rintracciabile.

Ma a fronte di questo impegno, il Comune di Roma Capitale – che avrebbe dovuto rimborsare le spese – non ha mai versato un solo centesimo. Parliamo di 37 mila euro, diventati quasi il doppio con gli interessi. Eppure il Tribunale ha già condannato il Comune a pagare. Nulla. Quattro tentativi di pignoramento, disposti dall’avvocato Manlio Sortino, sono andati a vuoto: le banche hanno dichiarato l’assenza di rapporti con l’ente, lasciando la cooperativa senza alcuna possibilità di recupero.

Una beffa che diventa umiliazione. L’ultimo periodo di permanenza nella Casa Rifugio, circa due mesi, è stato coperto soltanto grazie all’intervento straordinario del NOP, il Nucleo Operativo di Protezione del Ministero dell’Interno, che ha riconosciuto la delicatezza del caso e si è fatto carico delle spese finali. Ma per il resto, il peso è rimasto sulle spalle di Etnos, che ha dovuto anticipare somme ingenti senza ricevere alcun ristoro.

La vicenda parte nel 2014, quando Debora Cerreoni, moglie di Massimiliano Casamonica, primogenito del boss Giuseppe detto “Bitalo”, decide di collaborare con la giustizia. In un primo momento viene collocata a Roma, ma la sua posizione viene scoperta. La Procura decide quindi di trasferirla in un luogo segreto. È qui che entra in gioco la cooperativa nissena, chiamata a garantire accoglienza e protezione.

Oggi, a distanza di anni, la donna è in salvo e la sua incolumità non è più a rischio. Ma Etnos continua a pagare sulla propria pelle. Non si tratta solo di una questione economica: è un colpo all’onore e alla dignità di chi, nel silenzio e lontano dai riflettori, ha fatto il proprio dovere a servizio delle istituzioni e della legalità.

“Abbiamo rischiato molto per tutelare la vita di questa donna e dei suoi figli” dichiara il presidente Ruvolo. “Nonostante una sentenza che ci riconosce il diritto al pagamento, non abbiamo visto un euro. È un’ingiustizia che mina la credibilità delle istituzioni stesse. Chiederemo l’intervento del Presidente della Repubblica perché una vicenda simile non può passare sotto silenzio. La nostra cooperativa non può vivere di eroismi non riconosciuti. Abbiamo dipendenti da retribuire, spese correnti da sostenere. Non chiediamo privilegi, ma solo il giusto rispetto per il lavoro svolto con dignità e responsabilità”. Una storia che, ancora una volta, dimostra come in Italia chi combatte in prima linea per la giustizia e la protezione dei più fragili sia spesso lasciato solo.

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