I numeri hanno il pregio e il difetto di non essere opinabili. Specie quando esprimono il verdetto di una tornata elettorale. Certificano vincitori e vinti, ma anche i vinti tra i vincitori e i vincitori tra i vinti. Nel caso dei 5 Stelle, quelli usciti dalle urne nelle Marche, in Calabria e da ultimo in Toscana raccontano una sofferenza non nuova, ma non per questo meno preoccupante, per il Movimento di Giuseppe Conte nelle elezioni territoriali, come quelle regionali.
Non solo quando la coalizione ha perso la sfida, come nelle Marche, dove i 5S si sono fermati al 5,1%, e in Calabria, al 6,4% (anche se qui va considerato anche il 7,6% della lista Tridico Presidente, candidato governatore espresso proprio dai 5 Stelle). Ma anche dove il campo progressista è riuscito ad affermarsi, come accaduto in Toscana, il Movimento non è andato oltre un magro 4,3%. Risultati che, aspettando le prossime Regioni al voto, suonano come uno squillante campanello d’allarme. Non è un caso che siano finiti al centro dell’Assemblea congiunta dei deputati e senatori M5S di martedì scorso (che riprenderà martedì prossimo) e del Consiglio nazionale di ieri (aggiornato a sabato prossimo). Insieme al tema dei temi: l’alleanza di centrosinistra e, in particolare, con il Partito democratico.
Non è del resto un mistero che ad una parte consistente della base l’abbraccio con i dem risulti a dir poco indigesto. E, nel generale dilagare dell’astensionismo, una parte dell’elettorato pentastellato ha preferito non votare piuttosto che turarsi il naso. Tra gli eletti, a rappresentare meglio di altri questa insofferenza, con la richiesta di un Movimento più autonomo rispetto al centrosinistra, è l’ex sindaco di Torino, Chiara Appendino. Che, stando ad alcuni retroscena giornalistici, avrebbe ventilato addirittura le dimissioni dalla vice presidenza, durante la congiunta di martedì, per dare una scossa al Movimento. Ipotesi che ieri Conte in persona ha però escluso: “Ma dimissioni lo dite voi, lo scrivete voi”.
Il leader M5S ha assicurato che “non c’è stato nessun annuncio di dimissioni”, ha ribadito che non ha “ricevuto nulla” e ha ricordato di essere “il presidente che ha nominato la vicepresidente” Appendino. “Credo che se ci fossero dimissioni sarebbero arrivate prima a me”. Certo, il silenzio della diretta interessata che non ha smentito le indiscrezioni di sue possibili dimissioni, non è passato inosservato. Ma il punto è un altro, anche tenuto conto che tutte le cariche (da Conte in giù) sono in via di scadenza. La vera questione posta dall’ex sindaca di Torino è politica: dare al Movimento una postura meno schiacciata sul Pd. “È quello che stiamo facendo”, ha aggiunto Conte. Ricordando che insieme si va “solo se ci sono programmi chiari, concordati per iscritto e condivisi”, come “è stato fatto sin qui”.
Ma secondo quanto risulta a La Notizia, tra gli eletti M5S le critiche della Appendino non sarebbero isolate. Anzi, se c’è chi pensa che il dibattito sul tema non possa fare altro che bene, c’è pure chi ritiene che occorra chiudere del tutto con il Pd. Anche se, a ben vedere, pure quando il Movimento ha corso da solo, come accaduto alle elezioni dell’anno scorso in Piemonte, proprio la regione della Appendino, i numeri non gli hanno comunque sorriso: la candidata 5S Sarah Disabato si fermò al 7,7%. Insomma, il tema è sul tavolo. E ci rimarrà almeno fino alle regionali del mese prossimo in Campania. Quando, con Fico candidato alla presidenza, nel Movimento contano di commentare un successo e, soprattutto, numeri decisamente più incoraggianti.
Fonte lanotiziagiornale.it di Antonio Pitoni
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