Dopo il summit di Ferragosto ad Anchorage, in Alaska, tra qualche settimana Donald Trump e Vladimir Putin potrebbero incontrarsi nuovamente, stavolta a Budapest, per discutere del conflitto in Ucraina. La scelta della capitale ungherese risponde a motivazioni politiche e tecniche ma riaccende il dibattito sulla posizione dell’Ungheria nei confronti di Mosca e sul mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi) contro il presidente russo.
La scelta simbolica
La scelta di Budapest come sede del summit ha un valore altamente simbolico: fu proprio nella capitale ungherese, nel 1994, che Stati Uniti, Regno Unito e Russia firmarono il Memorandum di Budapest, garantendo all’Ucraina la propria sovranità e integrità territoriale in cambio della rinuncia all’arsenale nucleare. Oggi, per molti ucraini, quell’accordo è diventato il simbolo di promesse tradite prima dall’annessione della Crimea nel 2014 e poi dall’invasione su vasta scala del 2022.
Vittoria di immagine per Putin
Anche per il Cremlino la scelta di Budapest rappresenta una vittoria simbolica: consente al presidente russo di mettere piede per la prima volta su suolo Ue dall’inizio della guerra e, al tempo stesso, di evidenziare le divisioni interne all’Unione sul sostegno a Kiev. Intervenendo alla radio pubblica, Orban – alleato di Trump e considerato da molti osservatori la principale sponda di Mosca nell’Ue – ha definito “logica” la scelta di Budapest. “La capitale ungherese è essenzialmente l’unico luogo in Europa dove un incontro del genere può svolgersi perché l’Ungheria è l’unico Paese a favore della pace”, ha dichiarato il leader di Fidesz. Che era stato a Mosca a luglio dello scorso anno per incontrare Putin, appena iniziata la presidenza ungherese dell’Unione, nel tentativo di negoziare un cessate il fuoco con Kiev.
La possibile rotta
Dopo l’annuncio dell’incontro, l’attenzione si è subito concentrata sulla rotta che l’aereo con a bordo il leader del Cremlino dovrà seguire per raggiungere l’Ungheria. Molte traiettorie sono escluse a priori: per arrivare a Budapest, il velivolo dovrebbe infatti attraversare lo spazio aereo di Paesi membri della Nato apertamente ostili a Mosca, come le Repubbliche baltiche, la Polonia o la Romania. La via più diretta, naturalmente, sarebbe passare dall’Ucraina (ma sarebbe anche la più improbabile, a meno di colpi di scena). Oppure da Kaliningrad, exclave russa in Europa, lo Zar Force One dovrebbe sorvolare Polonia e Slovacchia per raggiungere Budapest. E la stessa cosa accadrebbe se tagliasse dalla Bielorussia.
Dove potrebbe passare l’aereo di Putin
Resta allora la Turchia. Da lì, però, dovrebbe transitare per la Romania o Bulgaria. Oppure, aggirando la Grecia, per i Balcani. Con un caveat: sono tutti Paesi o Ue o Nato o comunque firmatari dello statuto di Roma, che regola la Cpi, inclusa l’amica Serbia. Ma, va da sé, l’ipotesi che una Bosnia-Erzegovina o un Montenegro facciano decollare i jet per intercettare Putin è abbastanza remota. In un’intervista a Izvestia, il politologo Ivan Mezyuho ha indicato come “opzione più probabile” quella che passa sopra il Mar Nero e la Serbia.
Ue: “Paesi possono autorizzare corridoio aereo per Putin”
Per attraversare lo spazio aereo del’Ue è necessaria un’autorizzazione speciale. Un portavoce della Commissione europea ha detto che “i Paesi membri possono concedere deroghe individuali alla chiusura dello spazio aereo europeo” nei confronti della Russia: spetta ai governi nazionali “autorizzare tali eccezioni”. Ciascuno dei Ventisette può decidere di aprire un corridoio aereo per consentire l’atterraggio in Ungheria di Putin. Il divieto di viaggio Ue non si applica al presidente russo ma, viene precisato, il blocco dello spazio aereo europeo nei confronti dei velivoli russi “resta formalmente in vigore”.
Il mandato d’arresto
Il punto più delicato resta però quello legato al mandato d’arresto emesso dalla Cpi nel 2023, che accusa Putin di essere coinvolto nel trasferimento forzato di bambini ucraini durante la guerra. Secondo lo Statuto di Roma, i Paesi firmatari sono tenuti ad arrestare un ricercato della Corte anche solo in caso di ingresso nel proprio spazio aereo. Una circostanza che non si era posta per il vertice di Ferragosto in Alaska poiché gli Stati Uniti non hanno ratificato lo Statuto. L’Ungheria invece, in quanto firmataria, sarebbe formalmente obbligata ad agire, come ha ricordato un portavoce della Cpi.
La posizione di Orban
A complicare il quadro è il recesso annunciato lo scorso 3 aprile dal primo ministro Viktor Orban, proprio mentre riceveva a Budapest l’omologo israeliano Benjamin Netanyahu, anch’egli colpito da un mandato della Corte. Tuttavia, il ritiro ungherese dallo Statuto di Roma diventerà effettivo solo un anno dopo la notifica al segretario generale dell’Onu, ossia il 2 giugno 2026. “Un ritiro non pregiudica i procedimenti già avviati o i casi in corso”, ha precisato la Cpi, sottolineando che un’eventuale visita di Putin in Ungheria rischierebbe di infliggere un nuovo colpo alla credibilità dell’istituzione.
Le sanzioni Ue
Resta poi aperta la questione delle sanzioni europee che, dal giorno successivo all’invasione dell’Ucraina, colpiscono anche Putin e il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Le sanzioni, tuttavia, prevedono il congelamento degli asset nei Paesi Ue e non il divieto di ingresso nei Paesi europei (la questione si pose anche per Lavrov che volò a Malta per la riunione dell’Osce). Una possibile deroga formale è stata evocata dalla portavoce della Commissione europea, Anitta Hipper, secondo la quale spetta ai singoli Stati membri decidere se concedere eccezioni al divieto di ingresso nello spazio aereo dell’Ue.
Fonte SkyTg24
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