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Caltanissetta 401 > News > Cronaca > Adesso la Lega prende di mira Tajani. Schlein: “Il governo non sta più in piedi”
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Adesso la Lega prende di mira Tajani. Schlein: “Il governo non sta più in piedi”

Last updated: 24/03/2025 7:44
By Redazione 101 Views 7 Min Read
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Nell’esecutivo ancora tensione sull’asse Carroccio-Forza Italia, nel mirino c’è il ministro degli Esteri. Che replica: «Sono dei quaquaraquà». Opposizione all’attacco: «Il titolare della Farnesina commissariato, come Meloni. La credibilità dell’Italia nel mondo è compromessa»

Contents
Ordine di scuderiaFedelissimo del capitano

Ancora una volta è la Lega sotto i riflettori, Claudio Durigon in azione. Dopo una settimana difficile per il governo Meloni dove è emerso chiaro che nessuno si fida di nessuno (Antonio Tajani di Matteo Salvini, Salvini di Giorgia Meloni, Meloni di tutti gli altri) è il vice-segretario nazionale della Lega e sottosegretario al Lavoro a condurre il gioco: provoca, strappa, dissemina sospetti. Sceglie la domenica per dare vita una partita in tre tempi che finisce dove era cominciata: quell’armonia solo di facciata, esposta dopo un equilibrismo da brividi.

Nel primo tempo il proconsole laziale di Salvini – che voleva intestare il parco di Latina ad Arnaldo Mussolini, il fratello di Benito – parla al quotidiano La Repubblica: «Tajani è in una posizione un po’ difficile», dice Durigon «visto che è un sostenitore di Ursula e del suo piano di riarmo. Sappiamo tutti che von der Leyen non ha grandi rapporti con l’amministrazione americana, il suo RearmEu sembra anzi una sfida agli Stati Uniti, in questa fase. Per questo credo che sia utile se si facesse aiutare».

Ordine di scuderia

Da Forza Italia l’ordine di scuderia è ignorare l’uscita del leghista: «Ognuno ha le sue idee», è l’unico commento che viene strappato ad Antonio Tajani nella mattinata, a margine di un evento di Forza Italia a Milano. Il titolare degli esteri preferisce concentrarsi sulle parole del presidente del Ppe Manfred Weber che si è detto preoccupato dall’ammirazione di Salvini e dei Patrioti nei confronti di Donald Trump. Marcare le distanze dal Carroccio è un’occasione: «Il Ppe non ha nulla a che fare con il gruppo dei Patrioti. Sono distinti e lontani da noi Popolari. Sono fuori da ogni gioco politico a Bruxelles. La chiave delle elezioni europee è nelle mani del Ppe, che rappresentiamo in Italia».

Ma non serve a nulla. In un secondo tempo ci pensano le opposizioni a non glissare, anzi a tamburo partono all’attacco: «In qualsiasi paese questo avrebbe già aperto una crisi di governo. È chiaro che il governo non sta più in piedi», commenta con un video sui social la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. «È chiaro che non si può occupare dei problemi degli italiani, dalle liste d’attesa infinite ai saliari, alle bollette più care d’Europa», incalza.

Seguono a ruota Angelo Bonellli, deputato di Avs e co-portavoce di Europa Verde: «Siamo di fronte a un esecutivo diviso che non affronta le emergenze sociali ed economiche del paese». E quella del segretario di +Europa, Riccardo Magi: «In politica estera il governo italiano ha due linee, quella di Tajani e Meloni, che non sempre coincidono, e quella parallela di Salvini che ormai si muove da premier di un governo ombra.

Un commissariamento a tutti gli effetti di Tajani da parte del leader della Lega, nonché una sconfessione totale di uno dei due vicepremier della linea ufficiale dettata da Meloni, che fa perdere ulteriore credibilità all’azione del nostro esecutivo a livello internazionale. Si capisce perché l’Italia con Meloni non abbia un ruolo e una voce chiara in una fase che impone scelte decisive per il futuro dell’Italia».

Fedelissimo del capitano

Così, cinque anni dopo le dimissioni da sottosegretario dell’Economia del governo Draghi per le parole su “Parco Mussolini”, Durigon ritrova il brivido di avere per sé tutti gli sguardi, le telefonate dei giornalisti (a cui non risponde) e i bisbigli all’orecchio dei colleghi di partito. Fedelissimo del Capitano, con un diploma da ragioniere, operaio alla Pfizer, dall’Ugl, storico sindacato post missino, arriva alle elezioni del 2018.

Con Salvini si sentono costantemente, entrambi tifosi del Milan condividono gli spalti allo stadio e le vacanze. La sua uscita, dunque, non può considerarsi una boutade, una frase detta male, una cattiva interpretazione. Tajani la sa benissimo, tanto che in un secondo incontro con i giornalisti è costretto a cambiare tono e postura: «Tutti hanno bisogno di farsi aiutare, anch’io. Ma non mi sento in difficoltà, giudicheranno gli elettori».

A dare manforte il partito degli azzurri. Per la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli «Tajani non è assolutamente in difficoltà: ci rappresenta egregiamente sui tavoli internazionali e la politica estera è anche frutto del suo lavoro». «È chiaro che la politica estera è fatta dal presidente del consiglio Meloni e dal ministro degli Esteri Tajani», spiega l’europarlamentare di Forza Italia Letizia Moratti: «Se noi ci presentiamo uniti nei confronti degli Stati Uniti avremo un potere contrattuale. Se ci presentiamo divisi il potere sarà estremamente inferiore».

Le opposizioni però continuano e in una nota congiunta i capigruppo Pd di Camera e Senato, Chiara Braga e Francesco Boccia, e il capo delegazione Pd al Parlamento europeo, Nicola Zingaretti commentano: «La credibilità dell’Italia nel mondo è già compromessa. In questi anni non abbiamo mai avuto un’azione da parte del governo nel solco della tradizione diplomatica italiana».

Sarebbe stato l’intervento di Giorgia Meloni, sempre più irritata, a invitare il più ragionevole Tajani a sedare, sopire. Niente scontri frontali che ci fanno male. Così nell’atto terzo, certamente non finale, Tajani pur non lasciando un’inedita postura muscolare tenta prima di ricucire puntando sulle opposizioni: «Stiano tranquille, il governo andrà avanti. Finché c’è Forza Italia al governo le cose andranno bene. Io lavoro, è il popolo che sceglie… È il popolo che è importante». Finché c’è Forza Italia, appunto.

Poi dopo aver specificato «Senza di noi il centrodestra non esiste e non esisterebbe», rilascia una scia di veleno difficile da ignorare: «Un partito quaquaraqua è un partito populista che parla senza studiare, un giorno dice una cosa e un altro ne dice un’altra, i partiti seri sono quelli che studiano, approfondiscono e poi fanno quello che dicono senza cambiare idea e senza insulti».

Fonte Domani

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