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Al Sud più pensionati che lavoratori: Reggio, Cosenza e Messina tra le realtà più critiche, Caltanissetta all’86° posto. Il report completo

Last updated: 09/11/2025 6:31
By Redazione 102 Views 8 Min Read
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Il soprasso è avvenuto già anni fa. Nel Mezzogiorno a fare la differenza non è tanto l’assegno di vecchiaia, ma l’elevata diffusione dei trattamenti assistenziali e di invalidità

Il sorpasso è avvenuto già da alcuni anni: nel Sud e nelle Isole il numero delle pensioni erogate è nettamente superiore a quello dei lavoratori. Nel 2024, infatti, a fronte di 7,3 milioni pensioni pagate, avevamo poco più di 6,4 milioni di occupati. Lo rileva un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo cui il Mezzogiorno è l’unica ripartizione geografica del Paese che presenta questo squilibrio.
La regione con il disallineamento più marcato è la Puglia, che registra un saldo negativo pari a 231.700 unità. A eccezione della Liguria, dell’Umbria e dalle Marche, invece, le regioni del Centro-Nord mantengono un saldo positivo che si è rafforzato, grazie al buon andamento dell’occupazione avvenuto negli ultimi 2/3 anni. Dalla differenza tra i contribuenti attivi (lavoratori) e gli assegni erogati ai pensionati, spicca, sempre nel 2024, il risultato della Lombardia (+803.180), del Veneto (+395.338), del Lazio (+377.868), dell’Emilia Romagna (+227.710) e della Toscana (+184.266).

LECCE, REGGIO CALABRIA, COSENZA, TARANTO E MESSINA LE REALTA’ PIU’ IN «DIFFICOLTA’»
Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2024, la provincia più «squilibrata» d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -90.306. Seguono Reggio Calabria con -86.977, Cosenza con 80.430, Taranto con -77.958 e Messina con -77.002. Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma invece all’elevata diffusione dei trattamenti assistenziali e di invalidità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppi lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare. Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia gran parte dei paesi del mondo occidentale.

CONTRASTARE IL LAVORO NERO
Con sempre più pensionati e un numero di occupati che, tendenzialmente, dovrebbe rimanere stabile, nei prossimi anni la spesa pubblica è destinata ad aumentare. Nel giro di poco tempo queste dinamiche potrebbero compromettere l’equilibrio dei conti pubblici e la stabilità economica e sociale dell’Italia. Per frenare questa tendenza è fondamentale ampliare la base occupazionale, facendo emergere i tanti lavoratori in nero presenti nel Paese, incrementando, in particolare, i tassi di occupazione dei giovani e delle donne che, in Italia, restano tra i più bassi d’Europa.

SITUAZIONE «SQUILIBRATA» ANCHE IN 8 PROVINCE DEL NORD
Verosimilmente, nei prossimi anni la situazione è prevista in peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente. Tuttavia, già oggi ci sono 8 province settentrionali che al pari della quasi totalità di quelle meridionali registrano un numero di pensioni erogate superiore a quello dei lavoratori attivi. Esse sono: Rovigo (-2.040), Sondrio (-2.793), Alessandria (-6.443), Vercelli (-7.068), Biella (-9.341), Ferrara (-9.984), Genova (-10.074) e Savona (-13.753).
Due province della Liguria su quattro presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto. Delle 107 province d’Italia monitorate in questa analisi dell’Ufficio studi della Cgia, «solo» 59 presentano un saldo positivo. Infine, le uniche realtà territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza positiva sono Matera (+938), Pescara (+3.547), Bari (+11.689), Cagliari (+14.014) e Ragusa (+20.333).

L’ANZIANITA’ DEI LAVORATORI E’ UN PROBLEMA SOPRATTUTTO PER GLI IMPRENDITORI DELLE REGIONI PICCOLE
Come dicevamo più sopra, con tanti pensionati e pochi giovani, anche le imprese sono in seria difficoltà. Reperire sul mercato del lavoro figure professionali altamente specializzate è ormai diventata un’impresa quasi impossibile. A oggi, la regione che presenta l’indice di anzianità dei dipendenti privati più elevato è la Basilicata (82,7). Significa che ogni 100 dipendenti al di sotto dei 35 anni, ve ne sono 82,7 che hanno oltre 55 anni. Seguono la Sardegna (82,2), il Molise (81,2), l’Abruzzo (77,5) e la Liguria (77,3). Il dato medio nazionale è pari al 65,2. Le regioni meno «colpite» da questo fenomeno – anche se già da alcuni anni sono costrette comunque a fare i conti con questa criticità – sono l’Emilia Romagna (63,5), la Campania (63,3), il Veneto (62,7), la Lombardia (58,6) e il Trentino Alto Adige (50,2).

ENTRO IL 2029 TRE MILIONI LASCERANNO IL POSTO DI LAVORO
Nel breve periodo, purtroppo, la situazione è destinata a peggiorare, anche al Centro-Nord. Tra il 2025 e il 2029, infatti, si stima che poco più di 3 milioni di italiani lasceranno il posto di lavoro. Di questi ultimi, infatti, 2.244.700 (pari al 74 per cento circa del totale) riguarderanno persone che lavorano nelle regioni centro settentrionali. Questi dati non lasciano alcun dubbio: nel giro di qualche anno assisteremo a una vera e propria «fuga» da scrivanie e catene di montaggio, con milioni di persone che passeranno dal mondo del lavoro all’inattività con conseguenze sociali, economiche e occupazionali di portata storica per il nostro Paese. Lo sanno bene gli imprenditori che già adesso faticano a trovare personale disponibile a recarsi in fabbrica o in cantiere. Figuriamoci fra qualche anno, quando una parte importante dei cosiddetti baby-boomer lascerà l’occupazione per raggiunti limiti di età.

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