Divieto di pubblicare le intercettazioni e le ordinanze mentre i padrini insultano i cronisti
Messina Denaro diceva “Sono i più disonesti”
Non sapremo più cosa dicono i mafiosi che si stanno riorganizzando a Palermo. Non sapremo neanche cosa dicono i loro insospettabili complici.
Con il decreto legislativo approvato in consiglio dei ministri, che impone il divieto di pubblicare
le ordinanze di custodia cautelare, non si potranno più pubblicare le intercettazioni, e neanche le considerazioni dei magistrati.
I cronisti potranno fare soltanto sintesi.
Ed ecco che il decreto legislativo voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio è stato già ribattezzato “legge bavaglio” perché è un considerevole freno all’informazione in tema di
lotta ai clan, in questo momento di grande trasformazione per il fenomeno mafioso.
Un momento tutto da interpretare, una sfida non soltanto per magistrati e investigatori,
ma anche per i giornalisti, per l’intera società civile.
E, poi, da sempre, i boss odiano i cronisti: «Sono fra gli esseri più disonesti della terra», scriveva il superlatitante Matteo Messina Denaro.
Anche il padre Francesco la pensava allo stesso modo, nel 1988 fece uccidere Mauro Rostagno,
il coraggioso direttore dell’emittente Rtc di Trapani: «Don Ciccio diceva che Rostagno era un
cornuto — ha raccontato il pentito Angelo Siino — una volta urlò: “Quello è proprio uno terribile, devi sentire le cose che gli scappano dalla bocca ogni sera”».
«I giornalisti sono come il Coronavirus » rilanciò su Facebook il boss dello Zen Giuseppe Cusimano quando “Repubblica” scrisse della spesa che aveva distribuito alle famiglie più povere del quartiere, durante il lockdown.
Sei mesi dopo, fu arrestato con l’accusa di essere il nuovo capomafia del quartiere.
Con la legge bavaglio non avremmo mai potuto raccontare le parole di Giuseppe Cusimano
intercettate dai carabinieri: «Certi picciuttazzi bisogna tenerli lontani dai commercianti», diceva.
Il giovane capomafia cercava di recuperare consensi nel quartiere, addirittura ergendosi a difensore degli operatori economici.
Oggi, i clan provano a far dimenticare la strategia stragista e si presentano alla vecchia maniera, come la “mafia buona” sempre in aiuto della povera gente, ma non è mai esistita la mafia buona.
Anche un altro boss, uno dei più stretti collaboratori del capomafia di Pagliarelli Giuseppe Calvaruso, non usava mezzi termini: «I giornalisti fanno un danno enorme». Non solo agli affari, ma anche e soprattutto a quella campagna di comunicazione sulla “mafia buona” che i clan hanno ormai lanciato a tappeto nei quartieri.
Con la legge bavaglio non avremmo mai potuto raccontare neanche l’inchiesta che ha portato
alla condanna dell’ex deputato di Forza Italia Salvatore Ferrigno, per scambio elettorale politico mafioso. «Io posso corrispondere al momento di tre al massimo quattro paesi e basta: Carini, Torretta, Cinisi e Terrasini», così diceva il boss Giuseppe Lo Dico all’intermediaria dell’esponente politico, e non sospettava di essere intercettato.
Con la legge bavaglio non avremmo potuto raccontare neanche le parole degli imprenditori
che si sono rivolti ai boss per chiedere il recupero di un credito, o per sollecitare la punizione di alcuni rapinatori violenti.
Le ultime norme appesantiscono ancora di più l’informazione: la legge Cartabia, voluta dall’ex ministra della Giustizia, ha già costretto ad alcuni drammatici passi indietro nella cronaca giudiziaria.
Sono state praticamente azzerate conferenze stampa e interviste, ovvero quegli strumenti che negli ultimi trent’anni, dopo le stragi Falcone e Borsellino, hanno presentato il volto affidabile dello Stato e hanno consentito di vincere una battaglia importante, soprattutto nella lotta al
racket; magistrati e investigatori ci hanno messo la faccia in una comunicazione pubblica che ha spiegato come la denuncia convenga sempre, perché in tempi brevi porta alla liberazione dal giogo mafioso.
Commercianti e imprenditori si sono fidati. Adesso, invece, le denunce sono in preoccupante calo,
probabilmente la strategia di comunicazione dei boss («La mafia buona offre servizi, non chiede il pizzo») si sta dimostrando più efficace di quella dello Stato.
Da la Repubblica Palermo, si Salvo Palazzolo
