L’amore, sia esso verso persone, animali o cose, spesso si dica renda “ciechi“
Ciechi si, ma fino a un certo punto.
Altra cosa è quando si parla di “amore” per la città.
E’ possibile sollevare qualche critica sulla propria città, senza per questo essere accusati di non amarla ?
È stato sempre facile dire “amo la mia città” ma è stato difficile fare in modo che il tanto amore venisse poi dimostrato.
“I love Caltanissetta”
Bella frase, spessissimo usata e abusata, soprattutto in campagna elettorale.
Un amore però dal quale molti si sono separati, non per libera scelta, spinti ad andar via, per lavoro, per studio o altre motivazioni.
Come dare torto a chi, per lavoro o per far valere le proprie capacità è stato ed è costretto a emigrare, abbandonando luoghi e affetti cari e andando ad affrontare altri sacrifici.
Nessuno può condannarli se, pur manifestando il loro grande amore per la propria città, alla fine trovano il coraggio di andar via, perché purtroppo una cosa è nascerci, altro è viverci in una città, poiché la parola vivere è una parola che assume un significato impegnativo e forte, una volta rapportata in contesti come quello nostro.
Viverci vuol dire affrontare tutto, aspetti positivi e negativi, ma se si evidenziano le negative, non per denigrare, lo si fa spesso per rabbia, perchè si vorrebbe che si facesse di tutto per ridurre quello che non va.
Ovvio, la perfezione non esiste, neanche nella migliore città del mondo, e certamente non si può gettare il bambino con l’acqua sporca, ma neanche far finta di non vedere che c’è, oltre al bambino, da non gettare, anche l’acqua sporca.
Nessuno, tranne qualche idiota, parlerebbe male senza un valido motivo di una città dove vive solo per il gusto di farlo, sempre che abbia l’intelligenza di capire che vivendo in una comunità, pensare che alcune cose non li riguardano è veramente da idioti.
Possiamo dire benissimo che questa martoriata Caltanissetta è una bella cittadina, ma si eviti di commettere il classico errore della mamma che, parlando di un proprio figlio dice “no picchi è ma figliu”.
Bisogna saper amare veramente, amare vuol dire ammettere e riconoscere che qualche difetto c’è, chiudendo gli occhi o mettendo la polvere sotto al tappeto oltre a non amare veramente si producono due errori.
Il primo è che chiudendo gli occhi e, di conseguenza rappresentando una realtà non del tutto veritiera, non ci ci si accorge dei problemi che, se visti e affrontati, possono far migliorare la qualità della vita di tutti.
Il secondo è che nascondendo anche a se stessi il problema, si fa del male invece che del bene.
Ad ogni elezione molti sperano in un cambiamento, ovviamente che corrisponda ad un miglioramento, molti si sono fidati più volte di persone che dovevano portare alla rinascita.
Peccato che puntualmente son rimasti delusi, sono infatti rare le rielezioni, e si torna a sperare nel nuovo, sapendo però di dovere combattere spesso con “armi” insufficienti, spesso contro un “nemico” invisibile, che agisce nell’ombra, indisturbato, mai in prima fila e alcune volte vestito da amico e benefattore.
Nessuno condanna chi ha dovuto tagliare le proprie radici, nessuno mai gli darà del disertore, anzi capirà e comprenderà la sua rabbia dell’essere stato costretto ad andar via.
Non ci sono però discussione che tengono per giustificare questo nostro ultimo posto, anche perchè non è un fulmine a ciel sereno, sono anni che o siamo ultimi o penultimi.
“L’importante è che nulla cambi perché tutto rimanga come prima”, ma forse a molti questo fa anche comodo.
Chi prova a parlare delle criticità, non per il piacere sadico di farlo, ma per essere da pungolo, viene spesso accusato di danneggiare l’immagine della città.
E’ una scelta e non uno stile, ma meglio criticare per cercare di migliorare che fare da “zerbino” facendo finta che va tutto bene.
Magari un giorno si accorgeranno di essersi sbagliati e che il far finta di non vedere crea più danni del criticare. Ad Maiora
