La monarchia Sabauda o dei Savoia, e con essa i suoi attuali eredi, rappresenta oggi un “simbolo” molto divisivo.
Per alcuni, rappresenta la tradizione e l’unità nazionale, l’istituzione che ha guidato il Risorgimento e ha portato alla nascita dell’Italia attuale, un simbolo di storia, di prestigio e di un’epoca passata in cui la monarchia era il centro della vita politica e sociale.
Per una fetta significativa della popolazione, specialmente nel Sud Italia, il simbolo sabaudo ricorda invece tutt’altro, richiama alla mente il lato oscuro dell’Unità d’Italia, la repressione brutale del brigantaggio, il saccheggio delle risorse meridionali per favorire l’industrializzazione del Nord, la fame e l’emigrazione di massa. È un promemoria di un’annessione fatta con la forza, con conseguenze economiche e sociali che si fanno sentire ancora oggi.
Ma tutto questo a Caltanissetta è caduto nel dimenticatoio.
Molti di coloro che che lo hanno omaggiato è gente che ha studiato, gente che dovrebbe conoscere la storia d’Italia e ricordare le leggi fasciste promulgate dal nonno, compresa quella razziale ed anche che invece che difendere la nazione è scappato da Roma.
Non è certo un bell’esempio da dare ai ragazzi, che speriamo sappiano leggere bene la storia e capirla.
In un momento in cui il dibattito cittadino parla di memoria, la presenza ieri in città di un discendente di Casa Savoia continua a generare discussioni sulla mancanza proprio di memoria.
Molti i commenti sui social di non apprezzamento di tutto questo omaggiare e accompagnare, come se fosse venuto un discendete di una famiglia che si prese veramente cura della nazione e del suo popolo.
La sua apparizione in pieno centro storico e a Palazzo del Carmine accolto e accompagnato dai rappresentati dell’amministrazione, riaprono ferite mai completamente rimarginate e riaccendono interrogativi sulla natura della loro eredità e sul loro ruolo, se ne esiste uno, nella nostra società.
Che poi, proprio in un momento in cui il mondo si squarcia, in cui si parla di genocidio a Gaza – e la parola “genocidio” non la uso a cuor leggero, intendiamoci – voi cosa fate? Accogliete il discendente di una famiglia che non merita tutto questo, mentre su altro, come ad esempio su Gaza e sulle migliaia di persone innocenti uccise, tra cui migliaia di bambini, non dite nulla, ma accogliete in pompa magna, con tanto di sorrisi e strette di mano Emanuele Filiberto di Savoia. Il principe. Il principe di cosa, poi, non si sa.
Chiaro, non è questione di persona ma di simbolo, a vederlo sembra pure un simpaticone, più un personaggio di spettacolo che altro, ma per quello che rappresenta, o meglio, di quello che non dovrebbe rappresentare, almeno non per chi ha un briciolo di memoria storica, un minimo di dignità intellettuale.
Perché mentre le bombe cadono su Gaza, mentre i bambini palestinesi muoiono sotto le macerie, mentre il mondo occidentale, e buona parte della nostra classe dirigente, parla a vuoto e, peggio ancora, in molti casi parteggia per la parte che sta massacrando, a Caltanissetta si stende il “tappeto rosso” al rampollo di una casata che, diciamocelo, con il Sud e con la Sicilia non è che abbia avuto proprio un rapporto idilliaco.
E la cosa più assurda in tutto questo, è il silenzio. Il silenzio assordante di questi rappresentanti di una nobiltà, si fa per dire, che si erge a custode della storia e della tradizione, ma che tace, silente e complice, di fronte all’orrore in corso.
Nessuna parola su Gaza, nessuna frase per un popolo che sta subendo una violenza inaudita, anzi, se va bene, qualcuno ti fa pure la morale sul “diritto di Israele a difendersi”, come se per difendersi bisogna distruggere ospedali e scuole, massacrando migliaia di persone innocenti e tra essi moltissimi bambini
Ma noi ormai siamo la città delle feste, festini, canti. balli e selfie, siamo la Caltanissetta che accoglie il principe, ma che esporrebbe volentieri la bandiera di Israele, come fu chiesto tempo fa, la stessa che solo alcuni mesi addietro censurò un’opera d’arte solo perché conteneva una bandiera palestinese, la bandiera di un popolo oppresso, di un popolo che lotta per la sua esistenza , per la sua dignità e per il sacrosanto diritto di esistere.
E cosa fa la cultura, o chi per essa, di fronte a un simbolo così potente? Ne nega l’esposizione per non urtare la sensibilità e suscettibilità dei bambini (cit.). Quelle stesse suscettibilità che, evidentemente, non si attivano di fronte alla sfilata di un simbolo oramai anacronistico e, a tratti, offensivo.
Una parte di Caltanissetta, ama i simboli ma perde la memoria Avete dimenticato tutto, per una stretta di mano e per l’immancabile selfie.
Forse è ora di svegliarsi dal sonno della ragione e ricordarsi che la vera nobiltà non sta in un titolo ereditato, ma nella capacità di indignarsi, di schierarsi, di lottare per la giustizia, anche quando fa scomodo.
Altrimenti, continueremo a essere solo un’altra città buona per feste e festini, un altro lembo di terra dove la storia, quella vera, viene seppellita sotto il peso della convenienza e del silenzio.
Accoglietevi il vostro bel principe, fate pure delle belle foto, da mostrare ad amici e parenti o mettere in salotto o sulla scrivania, ma almeno qualche parole sui morti innocenti in Palestina ditela. Ad Maiora

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