C’è stato un momento preciso, durante i miei anni universitari, in cui ho capito cosa significhi davvero osservare gli esseri umani. È accaduto sfogliando Bar Sport di Stefano Benni. Un libro che all’apparenza sembrava una raccolta di storie leggere. Ma in realtà era uno specchio. Spietato. Affettuoso.
Tra i personaggi indimenticabili, uno mi rimase inciso nella memoria: la Luisona. La brioche dimenticata in vetrina. Indurita dal tempo. Ignorata da tutti. Non era solo un dolce scaduto. Era un simbolo. Il simbolo di ciò che resta immobile. Testimone silenzioso del tempo che scorre.
La scrittura di Benni mi ha insegnato il valore dell’ironia, come lente d’ingrandimento. Per vedere la realtà. Le iperboli. I personaggi grotteschi, teneri, incredibilmente umani. Tutto cela verità universali. Una partita a carte infinita. Una bugia raccontata con ardore. Un caffè condiviso. Piccole cose. Grandi rivelazioni.
“Al bar non si va solo per bere. Si va per esserci. Per non mancare all’appuntamento con la vita che scorre lenta, tra battute, litigi e rituali quotidiani.” Così scrive Benni. Il bar come luogo di aggregazione. Non solo caffè. Ma storie, pettegolezzi, discussioni appassionate. Calcio, politica, vita.
Oggi, rileggo quelle pagine e rifletto: il bar non è scomparso. Si è trasformato. Si è trasferito online. I social sono il nuovo Bar Sport. Stessi ruoli. Stesse dinamiche.
Facebook pullula di professori improvvisati. Instagram trabocca di “sparaballe” digitali. I social network sono arena di risse verbali senza tregua. Al posto del bancone, uno schermo.
E la Luisona? Non è morta. Ha nuove incarnazioni. Aforismi riciclati. Post che girano in loop. Oggetti di arredamento digitale. Parte del paesaggio virtuale che ci circonda.
Ma c’è una costante. Un bisogno umano immutabile. Benni me l’ha insegnato. I luoghi cambiano. Le tecnologie evolvono. Ma gli esseri umani restano gli stessi. Lo smartphone ha sostituito il biliardo, il caffè al banco. Ma cerchiamo ancora la stessa cosa: contatto. Conferma di esistere. Sensazione di non essere soli.
Ogni thread. Ogni commento. Ogni battuta condivisa. Lo stesso impulso primordiale che spingeva la gente al bar. Partecipare. Essere presenti. Entrare nella grande conversazione collettiva che è la vita.
Stefano Benni non ci ha dato solo un ritratto dell’Italia di provincia. Ci ha dato uno specchio universale. Una chiave per comprendere le dinamiche umane. Quelle che si ripetono, immutabili, attraverso secoli e rivoluzioni tecnologiche.
Il bar può diventare digitale. Ma l’umanità che lo anima resta sempre la stessa.
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