Quattro barche danneggiate, nessun ferito: “Siamo ancora in rotta verso Gaza, nonostante gli attacchi dei droni”
La notte tra il 23 e il 24 settembre la Global Sumud Flotilla è stata colpita da un attacco con droni in acque internazionali al largo di Creta. Per tre ore le imbarcazioni civili dirette a Gaza sono state bersagliate da velivoli senza pilota che hanno danneggiato quattro barche, costringendo un equipaggio a valutare l’evacuazione. Nessun ferito, ma il clima a bordo è cambiato. Maria Elena Delia, portavoce italiana della missione, racconta cosa è accaduto e perché la Flotilla non intende fermarsi.
«Noi stiamo fisicamente tutti bene, non ci sono stati feriti di alcun genere», esordisce Delia. «Psicologicamente però un po’ meno. Siamo in navigazione, continuiamo a essere motivati ad andare avanti verso Gaza, ma l’episodio di questa notte ci ha molto preoccupato. Se ieri il morale era altissimo, oggi è alto con riserva».
I danni subiti sono rilevanti: «Quattro delle nostre barche sono state danneggiate. La barca su cui mi trovo ha avuto la randa completamente compromessa, e senza randa non si può navigare a vela. Siamo costretti a usare solo il motore. Una delle imbarcazioni è stata colpita in modo grave, tanto che forse quell’equipaggio dovrà essere evacuato». Nonostante questo, Delia sottolinea che «la Flotilla è rimasta compatta e stiamo navigando lungo la rotta che ci eravamo prefissati».
L’idea di tornare indietro non è mai stata presa in considerazione. «Non abbiamo mai pensato di interrompere la navigazione», spiega Delia. «Forse dovremo rallentare per questioni meccaniche, ma non di tornare indietro. Dal punto di vista della legge, dell’etica e della morale non ne vediamo la ragione. Perché dovremmo tornare indietro? Sono coloro che ci hanno attaccato con i droni che dovrebbero smetterla di compiere atti criminali».
Alla domanda se l’attacco fosse stato previsto, la risposta è netta: «In realtà no. Nella situazione in cui ci troviamo, con equipaggi di nove o dieci persone su barche di dieci-dodici metri, è impossibile elaborare vere strategie. L’unica cosa che puoi fare quando senti il drone vicino è mettere il giubbotto salvagente, abbassare la testa tra le braccia e sperare di non farti male. Non possiamo scappare da nessuna parte».
Delia riconosce che un rischio del genere era stato comunque messo in conto: «Forse lo avevamo previsto, perché probabilmente l’obiettivo è ridurre il numero di barche, così da non far arrivare cinquanta unità a Gaza ma molte di meno, più facili da gestire con gli arrembaggi».
Il timore è che non si tratti di un episodio isolato: «Temiamo che possa essere il primo di una serie. Se l’obiettivo era ridurre la Flotilla e non ci sono riusciti, penso che possano riprovarci. A meno che non ci sia una pressione politica seria ed efficace che li dissuada. Noi siamo dalla parte della legalità, chiunque abbia mandato quei droni non lo è. La pressione dovrebbe servire a far tornare indietro loro, non noi».
Sul piano dei rapporti con l’Italia, Delia spiega che ci sono contatti quotidiani con l’Unità di crisi della Farnesina, ma non con il governo in prima persona. «Quello che ci è stato detto è che il governo italiano può muoversi solo entro i limiti imposti dalla legge israeliana. Se in mezzo al mare, pur in acque internazionali, ci attaccano con i droni, non è possibile darci protezione». Una posizione che Delia giudica paradossale: «In acque internazionali è possibile essere attaccati da uno Stato, ma non è possibile essere difesi. Mi chiedo: se invece della Flotilla ci fossero dieci barche di amici italiani in vacanza e venissero attaccati con i droni, cosa farebbe il nostro governo? Io penso che interverrebbe».
Infine, la portavoce lancia un appello a chi, da terra, chiede come aiutare. «Quello che le persone possono fare è mobilitarsi. Si può, ad esempio, presentare una denuncia contro ignoti alla Procura di Roma, alla Polizia o ai Carabinieri per gli attacchi subiti questa notte dai nostri cittadini. Qualcosa di configurabile come un reato è avvenuto. Non sappiamo da parte di chi, non ci possiamo difendere, bene: denunciamolo. Iniziamo a mettere nero su bianco che è accaduto».
Per Delia la missione non è solo un viaggio simbolico, ma una prova di legalità internazionale. «Noi stiamo navigando nel pieno rispetto del diritto. Se oggi si accetta che imbarcazioni civili possano essere bombardate in acque internazionali, domani chiunque potrà farlo di nuovo. Ecco perché non torniamo indietro».
Fonte LANOTIZIAGIORNALE.IT di Giulio Cavalli
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