Ieri Daniela Santanchè ha aperto la Borsa del turismo in fiera a Bari, che si svolgerà al 26 al 28 febbraio.
Ma in queste ore c’è un altro tipo – anzi un’altra marca – di borse che agita la ministra meloniana, già traballante dopo il rinvio a giudizio del 18 gennaio scorso aMilano per il caso Visibilia.
La vicenda di primo acchito può apparire una storia di colore. Ma non lo è.
Il Fatto ieri ha rivelato, con un articolo a firma di Selvaggia Lucarelli, che la ministra ed ex consulente per la Moda (nel 1997) del Comune di Milano, nel 2014 ha regalato a Francesca
Pascale, in quel momento fidanzata di Silvio Berlusconi, due costosissime borse Hermès, una Birkin e una Kelly del valore di circa 18 mila euro. Si tratta di oggetti di grande pregio, al pari dei gioielli (o degli orologi Rolex), e come tali vanno anche a comporre il patrimonio personale di chi li possiede.
Quando due anni fa Pascale si è recata nella boutique ufficiale di via Montenapoleone a Milano
per farne riparare una, ha però ricevuto la ferale notizia: le borse sono “contraffatte ”.
O, comunque, non hanno i codici identificativi (spiegheremo la differenza).
Ricostruzione confermata ieri da Pascale che, intervistata dall’Huffingon Post , ha aggiunto alcuni particolari.
“Poi dicono i napoletani…”, ha ironizzato l’ex inquilina di Palazzo Grazioli, partenopea, sulla presunta sòla ricevuta dalla ministra piemontese.
UNA FIGURACCIA? forse.
Ma non è solo questo. Il tema è serio.
Come spiegano al Fatto fonti investigative che si occupano ogni giorno di merce contraffatta, se Santanchè fosse stata consapevole del “falso”, con la cessione (pure gratuita) all’amica avrebbe potuto incorrere nel reato di ricettazione che tuttavia alla data odierna sarebbe prescritto (l’estinzione interviene entro massimo 8 anni dai fatti).
E sarebbe prescritto anche l’eventuale reato di incauto acquisto, rinvenibile all’articolo 712 del codice penale, che punisce con l’arresto fino a 6 mesi chiunque effettui acquisti di cose di sospetta provenienza.
Acquistare un accessorio di tale valore, infatti, in un mercato rionale (caso limite, ma non impossibile), da un broker non accreditato o fuori dai circuiti ufficiali o a prezzi eccessivamente scontati, deve infatti spingere l’acquirente a sospettare della provenienza del bene.
In questo caso Santanchè non ha ancora rivelato dove ha acquistato le borse.
C’è però un tema giuridico molto più attuale.
Dalla ricostruzione emerge che Pascale, dopo la disavventura in via Montenapoleone, aveva avuto modo di far notare a Santanchè quanto riferitole nel negozio Hermès.
Non risulta però che abbia denunciato la presunta truffa.
Ora che la vicenda è diventata di dominio pubblico potrebbe – anzi dovrebbe – rimediare.
Perché, spiegano gli stessi investigatori, la ministra oggi è un pubblico ufficiale e, in base all’articolo 331 del codice di procedura penale, quando questi sono “nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio” e “hanno notizia di un reato perseguibile di uffici o”, devono “farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito”.
Si dirà che Santanchè non era nell’esercizio delle proprie funzioni, ma gli stessi investigatori.
Al momento però Santanchè non ha nemmeno confermato la ricostruzione dei fatti.
Anzi, ha affermato, in una nota, che in questa vicenda “l’unico falso è la notizia” e che denuncerà il nostro giornale.
Il Fatto ha provato a contattare Santanchè, chiedendole se ha intenzione di querelare anche Pascale – che ha confermato in toto la storia – ma la ministra non ha risposto, attenendosi al contenuto del comunicato stampa. “La verità sarà molto facile per me da dimostrare”, ha aggiunto Santanchè alla nostra richiesta di chiarimenti.
Interessante a questo punto sarebbe capire la provenienza delle borse. In generale, ogni anno la Guardia di Finanza sequestra in tutta Italia prodotti griffati, anche di estremo valore, “non contraffatti” ma “non registrati”.
Cosa significa?
Spesso oggetti del genere, nella filiera della produzione, vengono materialmente realizzati,
all’insaputa della casa madre, da lavoratori extracomunitari (in gran parte cinesi) che ne
producono in soprannumero: i pezzi in eccesso, in tutto e per tutto considerati “veri”, vengono
immessi senza numero di registro in un mercato parallelo.
Sarà stato questo il caso?
