Lo scegliere è ciò che ci definisce e identifica, è quel coraggio di dire “questo sì e questo no“, formando la nostra personalità e identità, il nostro modo di essere e la nostra vita
È l’opposto dell’indifferenza, quel male dei nostri tempi che ci spinge a non reagire e a seguire la massa, trovando conforto nella comodità di non doverci assumere responsabilità.
Tuttavia, il lato più drammatico e negativo del “non scegliere” emerge quando sono gli altri a prendere decisioni per noi.
Tale comportamento assume maggiore rilevanza e importanza in politica.
La delega, un elemento fondamentale della democrazia rappresentativa, si basa sulla nostra libera scelta di conferire il potere di decidere a dei rappresentanti.
Spesso però la delega si trasforma in un’abdicazione totale.
Quando i cittadini rinunciano alla fatica di scegliere, di partecipare attivamente e soprattutto di controllare, smettono di esercitare il loro libero arbitrio in ambito politico.
Questo vuoto che si crea viene inevitabilmente occupato da chi detiene il potere, trasformando la sovranità popolare nel potere di chi “sa cosa è meglio”, o dovrebbe, decidendo per tutto il popolo, escludendolo dal dibattito, dove l’unica opzione rimasta è “l’obbedienza”.
In questo scenario, la scelta non è più un atto di libertà individuale, ma una forma di costrizione esterna.
Con il risultato che le politiche e le leggi non scaturiscono più dalla volontà collettiva, ma dall’imposizione di una volontà singola o di un gruppo ristretto.
Rinunciare a votare, a informarsi e, a maggior ragione, a vigilare, equivale a rinunciare alla propria dignità politica, lasciando che il proprio destino venga deciso altrove e da altri.
Se smettiamo di esercitare il nostro libero arbitrio come cittadini, ci ritroviamo a vivere in un mondo che non abbiamo contribuito a scegliere e che magari non vogliamo.
Molte persone, pur avendo la libertà di scegliere, si affidano ciecamente alle decisioni del potere politico, questa passività però si manifesta in diversi modi.
In primis per una forte adesione ideologica ad un partito, quando cioè si accettano senza riserve le decisioni dall’alto, annullando il proprio senso critico in nome della “fede” nel leader o nel partito.
Po c’è la paura del cambiamento, l’inerzia o la semplice indifferenza che spingono a subire le scelte, preferendo la tranquillità di una “sottomissione” alla paura di assumersi responsabilità.
Infine il tornaconto personale che rappresenta la forma peggiore, quando molti accettano le decisioni politiche non per convinzione o paura del cambiamento, ma perché ne traggono un vantaggio personale o temono di perdere i benefici già acquisiti.
Questo è scambiare il proprio libero arbitrio con il classico piatto di lenticchie.
Bisognerebbe invece riuscire a mantenere vivo lo spirito critico e avere il coraggio di dire “così non va“, che non è solo un atto di ribellione, ma il modo più autentico di essere sè stessi, essendo l’unica vera alternativa per non diventare come dei burattini che si muovono assecondando un copione scritto da altri.
Il libero arbitrio di ognuno di noi si deve nutrire un dissenso civile, informato e coraggioso.
Perchè la parola “scegliere” ci ricorda che siamo costruttori del nostro destino, non semplici spettatori e che ogni volta che facciamo una scelta agiamo secondo la nostra dignità, quella capacità, data dalla coscienza, di autodeterminarci, anche se per alcuni è una pratica scomoda e faticosa, ma che invece è profondamente umana.
Scegliere è il vero motore della libertà individuale, un atto legato alla capacità intellettuale di ciascuno e fortemente legato al proprio senso di responsabilità.
In sostanza l’espressione più evidente del libero arbitrio è quell’atto che ci spinge a uscire dalla massa e a dare forma al nostro io.
Non esercitare questa libertà, nella vita come in politica, porta alla più pericolosa delle “schiavitù”, quella di un destino deciso da altri. Ad Maiora
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