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Il mondo riconosce la Palestina mentre Kirk diventa un martire

Last updated: 22/09/2025 7:40
By Redazione 57 Views 6 Min Read
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L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite apre i battenti per l’ottantesima volta in un clima politico estremamente teso. Le tensioni sono palpabili sin dalle prime ore, dopo che gli Stati Uniti, con un gesto senza precedenti, hanno negato il visto a Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese.

La risposta dell’ONU non si è fatta attendere: l’organizzazione ha approvato una norma d’emergenza che consente ai leader di partecipare all’Assemblea e ad altre riunioni da remoto, anche tramite video registrati. Una decisione che sottolinea la gravità del momento e il desiderio della comunità internazionale di non escludere la voce palestinese.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina: un effetto domino
L’apertura dell’Assemblea arriva a soli nove giorni dal voto non vincolante che ha riconosciuto la soluzione a due Stati (Palestina e Israele) a stragrande maggioranza. A poche ore di distanza, il Regno Unito, il Canada e l’Australia hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina, seguiti a ruota da Francia e Portogallo, che hanno ribadito l’impegno a farlo a breve.

Questo effetto domino mette in forte evidenza l’isolamento di Israele. Rimangono pochi Paesi a non aver ancora compiuto questo passo, tra cui l’Italia, la Germania, l’Austria, i Paesi Baltici e la Grecia.

L’Italia divisa tra politica e piazze
Mentre la politica estera italiana appare ancora incerta sulla questione, il Paese è stato scosso da uno sciopero generale senza precedenti, indetto dall’USB (Unione Sindacale di Base). L’azione, che segue un primo sciopero promosso venerdì scorso dalla CGIL, rilancia con forza una rivendicazione politica che arriva direttamente “dal basso”, a riprova di una crescente sensibilità popolare sulla questione palestinese.

Nel frattempo, la politica del governo italiano continua a mostrare incertezze. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pur con discorsi ambigui, rivendica un sedicente sostegno al popolo palestinese, concretizzato finora solo con poche evacuazioni mediche e qualche volo umanitario a scopi mediatici. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, arrivato a New York, prende tempo dichiarando che l’Italia riconoscerà lo Stato palestinese “quando sarà costituito”. In netto contrasto, il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato in una tv israeliana che Israele “sta facendo la cosa giusta” per il suo diritto a difendersi.

L’isolamento di Israele si riflette nella politica interna
L’isolamento di Israele non è solo una questione di diplomazia, ma si riflette anche nelle dichiarazioni interne. Il primo ministro Benjamin Netanyahu continua a negare l’esistenza di un futuro Stato palestinese, mentre i suoi alleati di estrema destra, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, spingono per l’annessione della Cisgiordania. Donald Trump rispondendo ai giornalisti nelle scorse ore, ha negato il genocidio a Gaza, definendo invece l’attacco di Hamas del 7 ottobre come “un genocidio”.

Molti si chiedono se la caduta di Netanyahu possa porre fine al conflitto, ma la realtà è più complessa. Il capo dell’opposizione Yair Lapid ha dichiarato: “Il governo che ci ha causato il peggior disastro in materia di sicurezza della nostra storia ora ci sta causando anche la più grave crisi diplomatica di sempre”, definendo così il riconoscimento della Palestina come un disastro. La verità è che il progetto coloniale e il sogno di un’Israele che si estenda “dal fiume al mare” unisce gran parte dello campo politico israeliano. Non a caso, a luglio, l’80% della Knesset ha votato a favore dell’annessione della Cisgiordania.

L’obiettivo di “far sparire la Palestina” era in atto ben prima del 7 ottobre 2023. Dopo quella data c’è stata un’accelerazione ma il risultato è che oggi la Palestina è più presente che mai: nelle piazze che scioperano, nel boicottaggio delle aziende che sostengono il genocidio e nel riconoscimento di uno Stato di Palestina da parte di oltre il 75% dei Paesi del mondo.

I funerali di Kirk e l’inizio della nuova era trumpiana
Intanto negli USA è andato in scena il funerale di Kirk, diventato simbolo degli Stati Uniti che verranno: un connubio tra suprematismo bianco e religione, dove chi non è con il presidente è contro di lui. Un passo importante verso l’autocrazia trumpiana degli USA.

Fonte fanpage.it

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